Vedere le cose

Da Marcofre

A prima vista affermare qualcosa come “Un modo di vedere le cose originale e preciso” (è sempre Raymond Carver che scrive ciò), non pare nulla di sbalorditivo.
Non c’è nulla di molto difficile in una simile azione, vero? Come io stesso ho ripetuto più volte, basta “sedersi” da qualche parte, e osservare.
Siamo certi che basti? 

È facile porre domande, un poco più complesso rispondere con qualcosa di sensato.
Forse una premessa è indispensabile: tutti ormai guardiamo, se non altro perché televisione e affini ci insegnano a esercitare l’occhio, a “ingollare” senza alcuna cernita quello che ci capita dinnanzi.

Per questa ragione credo che il primo passo nella giusta direzione sia… un passo indietro.
Quando l’occhio viene sollecitato continuamente, esiste il rischio di perdere la capacità di guardare sul serio. Se si decide di crescere, diventa necessario rinunciare ad alcune sollecitazioni e perseguire quello che richiede maggiore impegno e fatica. È facile ingurgitare qualunque cosa; ben più arduo dividere, scartare, eliminare.

Questa operazione avviene quando non solo si è consapevoli della propria inadeguatezza. Soprattutto si verifica quando le risposte che soddisfano gli altri non soddisfano noi stessi.
Perciò si va a caccia di altre strade, e che io sappia quella più economica restano ancora le biblioteche. Sono un po’ ovunque, spesso snobbate, d’estate praticamente deserte (gli studenti sono in vacanza) e si può girovagare tra i corridoi a caccia di titoli e autori bizzarri e sconosciuti.

Torniamo però al titolo del post.

Carver con la sua frase ci viene in aiuto. La precisione non si improvvisa ma si costruisce giorno dopo giorno, attraverso gli anni, con la lettura di libri e la consultazione di un buon dizionario. Il falegname non è tale perché ha un’insegna sulla strada che dice “Falegnameria” e più sotto la scritta: “Prezzi modici”. Lo è se sa usare i giusti strumenti per ottenere quello che desidera, e se ha imparato a cosa deve ricorrere per creare ciò che ha in mente.

L’esperienza poi viene in aiuto, ma solo se esiste e resiste l’idea che c’è sempre qualcosa da imparare. Un falegname con 30 anni di esperienza sarà migliore di uno con 3 anni di esperienza; idem per chi scrive. Ma nessuno può sedersi, e credere di essere arrivato al capolinea.

Si può dire qualcosa di intelligente a proposito dell’originalità? Qualcuno ha scritto che dopo il buon Omero non è possibile scrivere nulla di davvero originale. Schopenhauer diceva che chi ha letto “Le Storie” di Erodoto, non ha bisogno di leggere altre storie. Io le ho lette molti anni fa, ma continuo a leggerne altre.

La sfida non è affatto quella di inventare nuovi mondi, o realtà parallele, e rovesciate.

In fondo il termine “originale” indica qualcosa che si ha dall’inizio e che perciò appartiene all’elemento, ne è parte. Lo costituisce. Oltre a questo, ha anche il significato che di solito gli diamo. Però io mi fermerei alla sua definizione principale; mi pare garantisca già sufficienti spunti di riflessione.

Appare evidente che è quasi inutile scervellarsi a trovare qualcosa di completamente nuovo. Diventa essenziale trovare ciò che appartiene all’elemento che vogliamo affrontare, che lo rende “vivo”, interessante e capace di definirlo.

E qui entra in gioco l’autore. No, come sempre non è possibile dire con chiarezza cosa si deve fare, come bisogna muoversi. Lo imparerà il singolo, forse, o forse no.
Si vede la difficoltà? Anche se siete distanti, la vedete? Bene: da vicino è pure peggio.


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