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Vendola-Saragat, Bersani e la rappresentanza dei ceti popolari
Creato il 05 agosto 2012 da VeritaedemocraziaSe si ripercorre la storia d'Italia andando indietro con la memoria per gli ultimi venti o trent'anni, e soprattutto dopo la fine del regime comunista sovietico, si troverà che la lotta per il potere si è dipanata, in una sostanziale continuità, non tra i rappresentanti dei ceti popolari e quelli dei prenditori dei profitti e delle rendite ma tra coloro che risultano l'espressione da un lato di almeno parte del grande capitale finanziario e industriale, italiano e straniero, e dall'altro delle lobby, confraternite, logge, corporazioni, cricche, mafie o comunque le si voglia chiamare che caratterizzano il nostro Paese e le danno una connotazione feudale. Cuccia contro Sindona, finanza laica contro finanza cattolica, De Mita contro il CAF di Craxi, Andreotti e Forlani, De Benedetti e Repubblica contro Berlusconi editore, Prodi, Ciampi, il PD e l'Ulivo contro Berlusconi politico. Con Agnelli e il Corriere della Sera in una posizione centrale e di mediazione. Gli uni hanno usurpato, in termini di valori e di principi e di asserita rappresentanza sociale, i panni politici della sinistra ed il ruolo di difensori dei lavoratori dipendenti, gli altri hanno costituito una destra dalle caratteristiche tutte italiane cavalcando gli istinti individualistici, le rivendicazioni localistiche, la pretesa di negazione dei diritti civili e di ostilità nei confronti delle tasse e delle regole dello Stato. Non si spiega così il fatto che le privatizzazioni, le liberalizzazioni, l'adozione dell'euro e l'integrazione nel mercato comune, l'accettazione supina della globalizzazione siano state opere della 'sinistra' più che della 'destra'? Un capitalismo di sinistra contro un capitalismo di destra che dà conto dell'imbastardimento di tali definizioni – destra e sinistra - ormai spesso considerate incomprensibili e anacronistiche, per di più calate nella dittatura del turbo capitalismo finanziario, dell'esproprio della politica e della volontà popolare da parte dei mercati e delle organizzazioni economiche sovranazionali. Due partiti, due gruppi di potere e di interesse certo non perfettamente distinti e separati tra loro, ma con ampie zone di contiguità e di sovrapposizione e comunque con la vocazione al compromesso, ad un'utile convivenza, all'inciucio, alla spartizione dei benefici del potere. L'esperienza Monti sotto la regia di Napolitano può essere interpretata anche come il compromesso storico tra questi due gruppi di potere. Lette attraverso questa interpretazione è possibile inoltre dare un senso logico alle parole di Bersani, altrimenti vera contraddizione in termini, che si candida alla guida della coalizione alternativa alle destre ma non a Monti rivendicando anzi la continuità con l'azione brutalmente di destra del suo Governo. Siamo ancora una volta di fronte alla abituale contrapposizione tra i due soliti blocchi di potere che conculcano entrambi, al di là della falsa rappresentazione delle idee di destra e sinistra, le giuste rivendicazioni dei ceti popolari. Sono emblematici, da questo punto di vista, i dieci punti della carta di intenti del Partito Democratico dalla cui lettura emerge in tutta la sua ampiezza la mediocrità, la spudoratezza, l'attitudine alla menzogna del ceto dirigente di quel partito.
Mediocrità perché di fronte all'arrembante e inarrestabile diffusione dei sentimenti anti-casta ed anti-partiti, al crescente consenso che acquistano i partiti di opposizione radicale, alla riorganizzazione inevitabile a cui assisteremo nei prossimi mesi della destra berlusconiana, riproporre le stesse formule, gli stessi slogan, per di più con il fardello delle fallimentari ed antipopolari politiche del governo Monti, denota una irresistibile vocazione a perdere. Spudoratezza e menzogna per il contenuto dei dieci punti della carta di intenti. Come si fa a parlare di centralità del lavoro per chi ha votato la controriforma delle pensioni e lo smantellamento dell'articolo 18 e per chi tra Marchionne e la Fiom si è schierato dalla parte del primo? Come si fa a parlare di beni comuni per chi sostiene le privatizzazioni ed ha votato i provvedimenti al riguardo del Governo Monti rivolti in particolare agli enti locali e ai servizi pubblici da essi svolti con imposizioni di carattere giuridico e strozzandoli finanziariamente con il taglio dei trasferimenti dallo Stato centrale? Come si fa a parlare di rafforzamento dello stato sociale quando si è messo in Costituzione il divieto delle politiche keynesiane ed accettato il Meccanismo Europeo di Stabilità che obbligherà l'Italia all'austerità per i prossimi vent'anni? Come si fa a parlare di alternativa al capitalismo finanziario e di uguaglianza quando non si ha alcuna intenzione di mettere in discussione il modello economico dominante caratterizzato da una determinata distribuzione della proprietà dei mezzi di produzione? Come si fa a parlare di difesa dell'ambiente quando si è favore della TAV, degli inceneritori e si continua ad inciuciare in tutte le città che si amministrano con gli speculatori edilizi? Come si fa a parlare di diritti civili quando si cerca l'accordo con i clericali e non si mette in discussione l'influenza del Vaticano? E in ogni caso le unioni civili, il diritto dei gay a contrarre matrimonio, il diritto di scelta su come porre fine alla propria vita non sono qualcosa che possano identificare un programma di sinistra. Si tratta semplicemente di elementi di civiltà che anche una destra normale non farebbe fatica a sottoscrivere. Per quanto riguarda SEL ciò che gli va contestato è la decisione di allearsi in posizione subalterna a questo PD, ci sia dentro o meno nella futura coalizione anche l'UDC. Nella nascita di SEL, attraverso la scissione da Rifondazione Comunista, si sono materializzati e incontrati due diversi disegni politici. Quello del PD, ormai definitivamente in marcia verso posizioni moderate e centriste, a cui faceva comodo la nascita di una compagine di sinistra 'responsabile' e di governo, senza 'fissazioni' legalitarie o nostalgie comuniste, che potesse coprirgli il fianco sinistro togliendo voti a partiti non compatibili e di disturbo alle proprie priorità di governo quali IDV e FDS. E in cambio poteva offrire ai vendoliani, rinunciando alla vocazione maggioritaria di Veltroni, il ritorno in Parlamento e la visibilità delle primarie anche se questo comportava dover rinunciare a qualche candidatura e a qualche poltrona nelle amministrazioni locali. E quello di Vendola che, uscendo da ciò che ormai doveva considerare come il ghetto della sinistra radicale, poteva coltivare l'ambizione di poter conquistare attraverso le primarie la leadership del centrosinistra, facendosi forte delle reminiscenze progressiste di almeno parte degli elettori del PD, così come del resto realizzatosi con le elezioni di sindaci quali Pisapia, Zedda, Rossi Doria. Ragionare di alleanze, leaders, forme di organizzazione politica, strategie non è cosa disdicevole se è funzionale ad una idea alta della politica intesa non come mezzo per l'occupazione del potere ma come governo della società per la soddisfazione dei bisogni delle persone. Ed in questo senso vi sono condizioni storiche in cui si possono accettare anche alleanze disinvolte e apparentemente discutibili, anche con forze che recano visioni contrapposte alla propria. Parlare di centrosinistra, pur avendo ben presente il bisogno di non ripetere le esperienze moderate e centriste dell'Ulivo, poteva avere un senso quando l'orizzonte era costituito dalla necessità di costruire una grande alleanza antiberlusconiana per estirpare dalla politica italiana la vergogna del governo del padrone di Mediaset ed impedirgli di conquistare la presidenza della repubblica. Ma tutto è cambiato dopo l'esperienza Monti, appoggiato da una maggioranza che ha visto insieme PD, UDC e PDL, e le ipoteche che sono state poste sul futuro dell'Italia – con la prospettiva di un'infinità austerità resa cogente dalla ratifica di trattati internazionali e la sudditanza alle regole imposte dalle organizzazioni finanziarie sovranazionali - dalle quali né il PD né l'UDC hanno alcuna intenzione di tentare di liberarsi. Entrare ora, come ha deciso Vendola, in posizione subalterna nell'alleanza con il PD, senza nemmeno aver coalizzato tutte le forze di sinistra per trattare da una posizione di forza o almeno di parità con i propri interlocutori, non offre alcuna prospettiva di cambiamento in direzione dei bisogni dei ceti popolari. La parabola di Vendola si concluderebbe nel ridursi ad un novello Saragat dando a SEL il ruolo di partito satellite della nuova Democrazia Cristiana, il PD. Come potrebbe cambiare la linea politica del PD la vittoria di Vendola alle primarie, che tra l'altro non sappiamo nemmeno se saranno rese possibili e necessarie dalla legge elettorale in vigore al momento del voto? Anzi l'accettazione della candidatura di Vendola come Premier costituirebbe proprio la merce di scambio per non modificare di una virgola il programma del PD (e l'effettiva assunzione del ruolo di capo del Governo dovrebbe poi passare dalle forche caudine dell'UDC, del Vaticano, delle compatibilità europee). E a cosa servirebbe quella vittoria nella prospettiva assai probabile di riconferma del governo di unità nazionale a guida Monti o di qualche altro tecnico nella prossima legislatura? La defezione di Vendola, per quanto mi riguarda tutt'altro che sorprendente, non fa che rafforzare la necessità, per chi auspica la nascita di un'alternativa a questo sistema economico, politico e sociale, di un'alleanza tra tutte quelle forze politiche e quei movimenti che si pongono l'obiettivo, attraverso la rappresentanza dei ceti popolari e dei lavoratori, di un vero cambiamento. Ma si tratta di qualcosa che al momento è ancora tragicamente solo una speranza.
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