Anna Lombroso per il Simplicissimus
C’è poco da stupirsi: il padre dell’operazione era stato l’indimenticato ministro Nicolazzi, proprio quello delle carceri d’oro.. e Berlusconi ebbe a dire che il Mose, il sistema di paratie mobili a difesa di Venezia dal’acqua alta, doveva essere la grande opera simbolo del suo governo.
C’è poco da stupirsi: sette arresti domiciliari e altrettanti obblighi di dimora, un centinaio di indagati, oltre 140 perquisizioni in numerosi regioni italiane. Sono le prime conclusioni dell’operazione della Guardia di finanza sul Consorzio Venezia Nuova, che attraverso numerose imprese e cooperative gestisce insieme al Mose, gli interventi di salvaguardia della città. Le accuse vanno dalla turbativa d’asta alle fatture false, fino agli appalti non regolari.
C’è poco da stupirsi: il Mose, che, assicura il neo presidente, verrà trionfalmente concluso nel 2016, é già finanziato per 4.934 milioni di euro, Il costo totale, si dice, ammonterà a 5.493 milioni di euro, a fronte dei 2700 preventivati. E dei costi originari circa la metà se ne sono andati in «oneri tecnici e per il concessionario, somme a disposizione e Iva.
C’è poco da stupirsi: dove non può buonsenso, programmazione di risorse, efficienza, tocca aspettare che arrivi la cavalleria della magistratura.
E dire che proprio nei giorni scorsi sono state posizionate le prime quattro paratoie in acciaio, una delle quali con grande imbarazzo dei notabili ancora a piede libero, non è affondata in acqua per “problemi tecnici”, presto risolti, secondo il neo presidente, lui si inaffondabile, Mauro Fabris - una lunga carriera Dc, Ccd, Udeur, Pdl e innumerevoli incarichi e competenze, dal governo alla pallavolo.
Dopo tanti anni è quasi risibile interrogarsi sulla effettiva utilità della soluzione Mose e sull’efficacia e la legittimità di assegnare a un consorzio di imprese private gli studi, le sperimentazioni, la progettazione e l’esecuzione delle opere nella Laguna. E non solo, se il Consorzio, dopo essere stato insignito dalla Regione, della funzione di occuparsi della Vas, la Valutazione Strategica (come dire la Guardia di finanza affidata al club degli evasori fiscali) ha allungato il percorso delle sue scorrerie fino a spadroneggiare anche nella privatizzazione dell’Arsenale di Venezia operata dal governo Monti, grazie a una norma una norma che gli concedeva, oltre al già acquisito, un’ulteriore cospicua porzione del complesso demaniale dell’Arsenale, da decenni promessa al Comune.
Dal 1982, anno nel quale il Consorzio diventa concessionario di tutto e di più, incarichi di studio, attività di progettazione e realizzazione delle opere in un regime monopolistico sconcertante perfino per l’onorevole Bruno Visentini, presidente nazionale del PRI, il progetto, anche ammesso e non concesso che rappresentasse la miglior soluzione possibile, è invecchiato come succede a accorgimenti rigidi e pesanti a fronte di problemi mobili, di eventi estremi, dell’incancrenirsi di patologie e aree di crisi, compreso un incremento della rapacità degli attori privati in campo.
Venezia, città speciale, si meritò una Legge Speciale che stabiliva che gli obiettivi degli interventi sulla laguna, dovessero essere “volti al riequilibrio della laguna, all’arresto e all’inversione del processo di degrado del bacino lagunare e all’eliminazione delle cause che lo hanno provocato, all’attenuazione dei livelli delle maree in laguna, alla difesa con interventi localizzati delle insulae dei centri storici, e a porre al riparo gli insediamenti urbani lagunari dalle acque alte eccezionali, anche mediante interventi alle bocche di porto con sbarramenti manovrabili per la regolamentazione delle maree”, procedendo alla costituzione di uno speciale Comitato, composto dal Presidente del consiglio, dai ministri interessati e dai rappresentanti della Regione del Veneto e degli enti locali territorialmente competenti sulla laguna, cui “è demandato l’indirizzo, il coordinamento, e il controllo”, ma che non è espressamente sancito debba, per assolvere i suoi compiti, preliminarmente definire quel “piano unitario e globale degli interventi” .
A oltre trent’anni da allora non solo non esiste quel piano unitario e globale, ma malgrado le burbanzose promesse del presidente appena investito e già inquisito, non esiste un piano economico attendibile, che si sa la confusione, l’approssimazione, la superficialità aiutano acrobazie illegali, e nemmeno piani di fattibilità che rispettino la sequenza temporale necessaria a garantire l’integrità fisica del territorio lagunare per via del procedere inceppato e sussultorio delle azioni e degli interventi, ma soprattutto a causa di quella logica ingegneristica, a quell’indole a isolare i problemi e a dar loro soluzioni indipendenti e meccanicistiche.
L’aveva già denunciato fin dal 2009 la Corte dei Conti, che aveva avanzato pesanti rilievi i sulla gestione della salvaguardia. E soprattutto sui costi lievitati, su consulenze e collaudi affidati «con scarsa trasparenza e un rapporto sbilanciato a favore del concessionario», sulla dissipazione dei finanziamenti garantiti dallo Stato per la realizzazione del Mose ma anche degli altri interventi in laguna come i marginamenti, le barene, gli scavi dei canali industriali, le nuove rive.
Obiezioni che mettevano già in luce vizi e patologie, che oggi non si possono più nascondere.
La Serenissima Repubblica di Venezia ha combattuto per 1000 anni per contrastare e governare la forza dei fiumi e quella della maree, l’accumulo dei sedimenti e l’erosiane. Vittoriosamente, solo perché aveva impegnato verso questo obiettivo tutte le intelligenze disponibili, tutte le tecnologie adeguate, tutte le risorse mobilitabili, tutta l’autorità disponibile (e non era poca), tutte le capacità di amministrazione saggiamente costruite per tutelare l’ambiente prodigioso e difficile che aveva alimentato la sua grandezza., quell’equilibrio complesso e miracoloso di terra e acqua.
Non serve essere luddisti per capire che via via si sono cancellato le regole della comunità, soprattutto là dove queste minacciavano il “diritto” all’appropriazione privata dei beni disponibili, se le opportunità offerte dalle nuove tecnologie basate sull’impiego dell’acciaio e del cemento, sulla sostituzione delle macchine semoventi alla fatica dell’uomo e dell’animale, hanno rivoluzionato nel bene ma anche nel male il modo di realizzare strade, canali, argini e dighe, ponti e nuove infrastrutture. E se lo Stato (che a Venezia era stato il grande garante di un equilibrato rapporto tra l’uomo e l’ambiente)è diventato strumento al servizio del profitto, tanto da impossessarsi della “natura” da sfruttare, trasformare, alienare.
Chissà se un Mose realizzato nei tempi previsti dal progetto originario, avrebbe posto resistenza almeno alle alte maree sempre più frequenti, anche a fronte delle ripercussioni negative sull’equilibrio ecologico della Laguna. Non lo sapremo mai, come non sappiamo alla fine quanto peserà sui bilanci dello Stato e quanto costerà la gestione del complesso meccanismo, qualora venga concluso, né a chi essa sarà affidata, né chi e come ne sosterrà le spese. Basta pensare che su un metro quadrato di cassone metallico si depositano all’anno tra i 10 e i 35 kg. di incrostazioni biologiche, eliminabili solo smontando i giganteschi portelloni e lavorandoli a terra.
Se doveva essere la Piramide di Berlusconi, il suo sogno è realizzato: un’impresa dissipata, probabilmente inutile, certamente dannosa, sicuramente profittevole per i soliti pochi, indubbiamente simbolica, di avidità e illegalità.