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Venezia 67 \ VENERE NERA (Algeria, 2010) di Abdellatif Kechiche

Creato il 17 giugno 2011 da Kelvin
Venezia 67 \ VENERE NERA (Algeria, 2010) di Abdellatif KechicheVi ricordate di Abdel Kechiche? Avevamo lasciato il talentuoso regista algerino tre anni fa, proprio alla Mostra del Cinema di Venezia, come autore del tenero e divertente Cous Cous. Pareva un Leone d'Oro scontato, e invece una giuria miope presieduta dal cinese Zhang Ymou assegnò la vittoria al connazionale (nonchè amico...) Ang Lee, vincitore per la seconda volta in tre anni. Ci furono polemiche a non finire e Kechiche, amareggiatissimo, tuonò che non avrebbe più messo piede in laguna. Però si sa, il tempo (e i soldi) leniscono tutte le ferite, e infatti rieccolo presentarsi, lo scorso settembre, di nuovo in concorso al Lido... anche se è forte il sospetto che in realtà l'autore di Venere Nera sia il suo fratello gemello, considerata l'enorme differenza di argomento, stile e toni tra le due pellicole.
Ma finiamola qui. Perchè in realtà c'è poco da scherzare: Venere Nera è un film angosciante, terribile, che non risparmia niente allo spettatore e fa riaffiorare una ferita ancora aperta nella cultura europea dell' 800.
Il film è la tragica biografia di Saartje Baartman, detta la 'Venere ottentotta', una donna nera sudamericana che divenne tristemente famosa per la forma del suo corpo, a suo modo da Guinness dei Primati: aveva, infatti, fianchi e sedere iper-sviluppati e un'apparato genitale di enormi dimensioni. tanto enormi che la poveretta, schiava nel suo paese d'origine, venne trascinata con la forza in Europa e costretta a esibirsi nei luna-park come fenomeno da baraccone. La donna non cercò mai di ribellarsi alle continue violenze, e la sua vita fu un vero inferno: prima processata  e poi venduta a un impresario senza scrupoli, poi costretta a prostituirsi in una casa d'appuntamenti parigina, morì di sifilide a soli 25 anni. Il suo corpo fu poi comprato dal Museo della Scienza Umana di Parigi a scopo di studio: gli scienziati le asportarono i genitali e li destinarono in esposizione per gli studenti di  medicina.
Le pellicola di Kechiche si rifà esplicitamente a The Elephant Man, cercando di colpire lo spettatore con scene forti, crudeli, efferate, senza fermarsi di fronte a nulla e mostrando quando occorre immagini raccapriccianti, al limite del disgusto e forse oltre. L'intento è, ovviamente, quello di far riflettere sugli orrori del razzismo, della schiavitù e della 'diversità' in generale. Ma lo stile utilizzato dal regista, inopinatamente rozzo, morboso e ricattaorio, finisce più per schifare e impietosire piuttosto che generare una presa di coscienza in chi lo guarda. Alla fine il film risulta essere toccante più per la vicenda che racconta piuttosto che per la sua realizzazione. Grande interpretazione per l'attrice Yahima Torres, clamorosamente dimenticata in sede di palmarès dalla Giuria presieduta da Tarantino.
VOTO: * *  

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