Anno: 2013
Durata: 85′
Genere: Commedia
Nazionalità: Canada
Regia: Bruce LaBruce
Come spesso capita al Lido, il film che doveva provocare scandalo si rivela un opera delicata e convincente. Certo l’amore omosessuale tra il diciottenne Lake (Pier-Gabriel Lajoie) e l’ottantaduenne Peabody (Walter Borden) poteva essere affrontato in modo più ruvido e crudo da un regista come LaBruce che adora scandalizzare (si guardi il provocatorio L.A. Zombie), ma questa volta lo sguardo del regista canadese si è posato sui corpi dei protagonisti senza mostrare amplessi shock ma quasi accompagnando le loro carezze. La macchina da presa, vicinissima ai corpi, li filma in movimenti impercettibili e intensi, come in un vero e proprio rito pagano.
Lake che dalla sua ragazza Desiree (Kate Boland) è considerato un Santo per il suo altruismo e il modo in cui accudisce la madre (una Milf sempre in cerca di uomini) compirà un viaggio verso l’accettazione del proprio “feticismo”. La sua attrazione verso uomini anziani scoppia con tutta la sua forza quando si troverà a lavorare in una casa di riposo. L’incontro con Peabody non farà altro che catalizzare tutte le sue pulsioni, ma non si tratta solo di attrazione fisica, come dichiarerà lo stesso Lake (“Non è soltanto sesso, sento che mi sono innamorato di te” dichiarerà in una stanza di albergo a Peabody), bensì di un sentimento profondo. Quando scopre che i pazienti vengono drogati, decide di far fuggire Peabody per fargli realizzare il suo sogno: vedere nuovamente l’Oceano Pacifico. Inizia così un viaggio per le strade del Canada che si concluderà in modo imprevisto.
LaBruce con quest’opera lancia il suo J’accuse verso una società dell’immagine formata da corpi plastificati in balia di chirurghi avidi per teste vuote. Ci mostra una nuova bellezza, quella dei corpi levigati dal tempo, cercando anche di sfatare un tabù persistente nella comunità gay che vede mal viste le relazioni fra persone di età molto differenti. Inquadrature come veri e propri tableau vivant dai colori accesi incantano, e l’uso magistrale del rallentì enfatizza gli sguardi e i dettagli, dilatandoli. Un’opera che ribalta il canone classico di bellezza facendo riflettere senza finti intellettualismi.
Vittorio Zenardi