Anno: 2013
Durata: 97′
Genere: Drammatico
Nazionalità: Italia/USA
Regia: Andrea Pallaoro
Questa è la seconda occasione in due anni che ci è fornita dal Festival di Venezia per confermare che certe teste pensanti italiane si trovano meglio a fare i film all’estero. È stato così l’anno scorso con l’esordio di Roberto Minervini, Low Tide; e lo è quest’anno con l’esordio di Andrea Pallaoro, Medeas.
Un racconto pittorico che sorprende per lo studio fotografico approfondito che conduce, inquadratura dopo inquadratura, sentenziosamente fino alla fine. Nessuna imprecisione ammorbidisce l’impatto, la glacialità, la fermezza dei contorni stabili dei quadri, quantunque a volte storti, obliqui, disequilibrati, è il paradigma essenziale con cui fruire la storia di Medeas. In termini di mise en scène è sempre più difficile riuscire ad essere originali: in quest’opera, tuttavia, numerose sono le perle dai chiaroscuri attenuati, le ombre ammorbidite e le profondità di campo (e di campagna) allungate all’infinito. Una forza trainante, questa, che è la voce più forte, quanto l’unica voce, nel dialogo con lo spettatore.
Il film ci mostra Christina, suo marito e le loro cinque creature, in un momento in cui la comunicazione tra loro è davvero complessa e sempre più sporadica. Mentre i bambini affrontano tappe della crescita delicatamente accennate, che li mettono a confronto con le loro vere identità, il dramma più grande è nel rapporto tra i genitori. Seppure si avverta la presenza di un sentimento che li unisce, il loro equilibrio si va sgretolando fino a dissolversi, proprio come si sgretola il terreno della campagna afflitto da un lungo periodo di siccità; la pioggia finale, scrosciante, non è ben chiaro se abbia davvero la forza di risanare e lavare via i peccati. L’attento lavoro di studio operato in fase di scrittura su questa comunità periferica dimostra come il loro equilibrio si regga necessariamente ed indissolubilmente sul nucleo famigliare. Perse queste certezze, si perde la ragione di vita.
L’esordio al lungometraggio di Andrea Pallaoro, già visto in altri festival con il suo lavoro corto Wunderkammer, è un prodotto profondo che favorisce della recitazione ermetica dei protagonisti, tra cui la splendida Catalina Sandino Moreno. Omaggia gioiosamente l’Italia con una canzone di Mina urlata con fare liberatorio dalla ragazzina, mentre per tutto il resto del film sono solo i rumori della vita ad essere udibili (per chi li può sentire). Si diverte giocando con specchi e vetri per suggerire allo spettatore la distorsione della realtà, o il suo raddoppio, o forse per escluderlo dalla sincera intimità di quello che sta succedendo: e in effetti, Medeas è un film di scoperta, che inganna, che suggerisce ma non spiffera. Una istantanea verista di un dramma dai ritmi melliflui e polverosi, che, nuovamente, non avrebbe mai potuto trovare spazi produttivi nell’Italia delle grasse risate.
Rita Andreetti