Anno: 2012
Distribuzione: Sony Pictures Classic
Durata: 105′
Genere: Drammatico
Nazionalità: USA
Regia: Ramin Bahrani
Era chiaramente venuto il momento di rappresentare anche questa porzione di America: quella dei campi coltivati, dell’agricoltura estensiva, moderna, portata allo stremo delle forze naturali e per questo liberamente sostenuta dalla scienza nell’inserimento delle coltivazioni OGM. Ecco quindi che Ramin Bahrani torna a Venezia con At any price: porta con sé gli sconfinati campi di mais dell’Iowa per raccontare la storia della famiglia Whipple, tre generazioni di agricoltori, qualche centinaio di acri di terra e la passione provinciale e radicata fino agli umori.
Henry, il padre (Danis Quaid), confida di poter affidare l’eredità sterminata al primogenito Grant, il quale invece non ne vuole sapere e se ne guarda bene dal ritornare al nido. La responsabilità così scivola sul fratello minore Dean, un ragazzo sveglio e senza guinzaglio che Bahrani ha visto in Zac Efron: purtroppo l’eccessivo zelo del padre, motivato anche da un nonno asfissiante, quasi minaccioso quando si parla dell’azienda di famiglia, spingono pure lui al ripudio dell’attività generazionale. La sua passione è la guida delle auto da corsa, a cui anela anche a livello professionale. La storia degenera quando scopriamo che questa concorrenza irrispettosa, che risponde all’unico Dio Mercato, porta Henry a truccare le vendite riutilizzando i semi OGM brevettati dall’azienda fornitrice, la Liberty. E a questo si aggiunge il fallimento di Dean nel sogno della sua vita. Un mano collosa manovra tutta questa famiglia, che se da una parte investe i propri ideali nella coltivazione delle pannocchie, dall’altra non sa proprio come liberarsi di questa maledizione, che imbottiglia tutti nella sempre più spietata corsa alla crescita: un sogno americano fantoccio, svuotato dell’umanità dei rapporti personali, che rivela una profonda insoddisfazione.
Indubbiamente il film di Bahrani vanta un’attenzione quasi verista al mondo a cui si riferisce; e lo dimostra la stessa esperienza personale del regista, che ha speso mesi nelle fattorie per respirare letteralmente l’aria polverosa dei chicchi di mais. E indubbiamente è la testimonianza di quel geneticamente modificato che è entrato a pieno titolo nello stomaco di molti – il 93% dei semi utilizzati negli USA sono di questa specie, cita lo stesso film. Tuttavia, pare che questi personaggi, che si muovono su linee di orizzonte lunghissime, sterminati campi dai colori ridondanti interrotti solo da inquietanti mostri eolici, correndo su queste auto superveloci, non si rendano conto di ciò che hanno davanti: tutti perdenti nella loro involuzione etica e umana, vanno a sbattere contro soluzioni di facile drammaturgia classica. Come se per mettere veramente alla prova questi eroi sia necessario, alla fine, farci sempre scappare il morto.
Nonostante questo, le rughe scavate del volto di Quaid suscitano una tale ammirazione che si sposa a pieno titolo con quel suo prodigarsi quasi schizofrenico nei confronti del figlio. Lui, che dal suo canto – falliti i suoi sogni di pilota e il suo rapporto genuino con la fidanzata – pare tornare da paparino solo per comprarne il silenzio sull’omicidio insabbiato.
E per concludere, indiscutibilmente allietati dalla fotografia assolata e ventosa, si passa sopra all’irreale situazione in cui il piccolo agricoltore frega la potente azienda che tutto controlla e tutto ha brevettato. Pure la sua vita.
Rita Andreetti
Scritto da Rita Andreetti il set 1 2012. Registrato sotto IN SALA, RECENSIONI FILM VISTI AI FESTIVAL. Puoi seguire la discussione attraverso RSS 2.0. Puoi lasciare un commento o seguire la discussione