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#Venezia70 – A pigeon sat on a branch reflecting on existence

Creato il 03 settembre 2014 da Onesto_e_spietato @OnestoeSpietato

a-pigeon-sat-on-a-branch-reflecting-on-existenceChiusura in tono minore per la trilogia sulla vita e la morte di Roy Andersson. Dopo Songs from the second floor (2000) e You, the living (2007), a distanza di altri sette anni è il turno di A pigeon sat on a branch reflecting on existence.

Per chi ha visto i primi due “capitoli”, Andersson ripropone la solita estetica: interni grigi e soffocanti, esterni nebulosi e tristi, atmosfere rarefatte, personaggi che pensano e si muovono a rilento, macchina da presa fissa e piani sequenza che inquadrano un intero episodio con lucida e rigorosa profondità di campo.

Sul grande schermo il solito spaccato di mondo di uomini e donne disadattati e insoddisfatti cronici, che hanno piacere che gli altri stiano bene, mentre loro, dentro, muoiono. Un microcosmo che ci strappa una manciata di risate, ma che non ride, anzi si rinchiude nell’incapacità e inutilità di divertire e divertirsi.

Ma il terzo capitolo è il più fiacco, come se Andersson, privo di idee, avesse tirato troppo per le lunghe questa sua riflessioni su vita e morte, gioie, dolori e insoddisfazioni quotidiane ed eterne. Gli “skatch” proposti, un po’ come un Carosello nordico, sono molti meno che in passato ma molto più lunghi e frammentati nella durata. Assistiamo a tre storielline sulla morte, ad alcune riflessioni sull’homo sapiens, alla partenza e alla battuta in ritirata di un esercito che fa sosta in un bar, ad un uomo che non sa più che giorno è.

La piattezza che negli altri due film era peculiare cifra espressiva, qui si fa noia e vacuità di senso. Il grottesco ovviamente c’è, ma è privo di quel contenuto che lo rende veramente tale.

Tranne un paio di bagliori, A pigeon sat on a branch reflecting on existence rimane nell’ombra, indeciso, e, a differenza dei due film precedenti, manchevole di un perno che ne possa evidenziare la portata filosofica ed esistenzialista.

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