Le dernier coup de marteau di Alix Delaporte è un piccolo film fatto di emozioni. Dopo Angele e Tony la giovane regista francese torna a raccontarci un piccolo dramma di provincia. Protagonista è Victor, quattordici anni, promessa del calcio, che vive con la giovane madre gravemente malata. Ben poco sa del padre, se non che è un noto direttore d’orchestra. Il suo passaggio in città per dirigere la sesta sinfonia di Mahler sarà l’occasione per vederlo, incontrarlo e…
La Delaporte abbandona la ventosa e cupa Normandia di Angele e Tony e si sposta sulla costa opposta, nella soleggiata Camargue, a Montpellier, terra ricca di colori e profumi. Come il film d’esordio, anche questo secondo lungometraggio risente del clima della zona. Se infatti in Angele e Tony i toni della regia erano algidi e rarefatti nel trattamento e nella trasmissione delle emozioni, in Le dernier coup de marteau tutto si fa più empatico, caloroso, sia tra i personaggi che nel coinvolgimento degli spettatori. Allo stesso tempo mantiene però la medesima coppia di attori protagonisti: Clotilde Hesme e Grégory Gadebois, miglior attrice e miglior attore esordienti ai premi Cesar 2012.
Con passaggi che ricordano il più enfatico cinema sociale dei fratelli Dardenne, il racconto di Le dernier coup de marteau è calibrato in ogni risvolto, causa ed effetto, con le sequenze giuste al momento giusto (si pensi ad esempio al tuffo in acqua in cui la protagonista perde la parrucca o quando il figlio abbandona in mare lo scooter appena ricevuto in regalo). Ogni sequenza, frutto anche del buon montaggio e di una colonna sonora complice, è perfetto ingranaggio di una creazione che punta ad emozionare lo spettatore.
Al suo secondo film, quindi, la Delaporte, attenta osservatrice dei sentimenti umani e amante dei personaggi che descrive e dirige, dimostra di essere cresciuta, maturata. Il cerchio dei characters si amplia dai basilari tre (madre, padre e figlio) ad altri di contorno che contribuiscono, con efficaci, delicati e brevi interventi, ad accentuare la compiutezza di un film intimo e timido, che procede per sottrazione, in controcanto col gigantismo che caratterizzava le sinfonie composte da Mahler e dirette dal personaggio di Samuel Rovinski.
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