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Venti chilometri di passione - Capitolo 3
Creato il 26 maggio 2014 da Lorenzo Zuppini @lorenzozuppiniLa prima volta che ci vedemmo al mare dopo l’inizio della scuola fu il primo sabato dall’inizio delle lezioni. Lo ricordo bene perché il venerdì sera mia sorella Francesca festeggiò il suo diciottesimo compleanno a Villa Cappugi, un antico palazzo vicino casa mia affittabile per consumare pranzi e cene o festeggiare eventi di ogni tipo.
Quella sera mi divertii molto, era stata organizzata la festa nei minimi particolari e l’abbondanza di cibo e alcolici rese le danze ancor più sfrenate. Nella prima parte della serata furono presenti genitori e parenti vari, il dj che i miei avevano affittato per la serata intrattenne quella prima parte con musica tranquilla a volume medio-basso. Ci furono comunque genitori che, insidiati dall’alcool, si scatenarono in danze risultando a metà tra l’imbarazzante e il divertente. Due di questi furono sicuramente mio padre e il padre di Marco, il mio storico e fraterno amico. Ricordo bene loro due senza giacca e con le maniche della camicia arricciate che si agitavano di fianco al palchetto riservato al dj.
La seconda ed ultima parte del party vide alzarsi il volume della musica, l’arrivo di un mio pensierino per la Francesca, alcune bottiglie di champagne rompersi in terra con la conseguente feroce arrabbiatura dei commensali e, infine, la conclusione di tutto.
Assolutamente piacevole, anche se io, quasi due anni prima per il mio diciottesimo, optai per un festeggiamento diciamo più privato. Suppongo appartenga alle donne la bramosia di festeggiare in modo classico, sciorinando le proprie possibilità e facendo assomigliare il più possibile la propria festa a quella organizzata per una principessa. Sicuramente, devo ammettere, un festeggiamento di questo tipo lascia più ricordi e quindi piacevoli sensazioni.
La mattina dopo andai a scuola provato dalla serata movimentata, pranzai, come tutti i sabati, dalla nonna Loriana dopodiché andai al mare per vedere Giulia. Non partii subito dopo pranzo e non ricordo per quale motivo, però cenammo insieme in un modesto ristorantino alle Focette. Ordinammo entrambi un piatto di spaghetti al cartoccio e la pietanza ci arrivò a tavola con la carta stagnola, che avvolgeva gli spaghetti, ancora infuocata.
Obiettivamente non si mangia un granché bene in quel posto, difatti Giulia, che a differenza mia tiene molto alla qualità dei pasti che consumiamo, si è sempre rifiutata di tornarci e all’incirca da quel momento in poi abbiamo iniziato a girare molti dei ristorantini tipici e deliziosi che Pietrasanta offre.
Ci vedevamo, in media, una volta ogni tre settimane ed io inizialmente ero titubante sul nostro futuro insieme, in particolar modo sulla durata della nostra storia. Insomma, fino a quel momento avevamo passato tre mesi insieme al mare, di lì in poi invece ci saremmo dovuti vedere con molta meno frequenza. Questo fatto mi ha creato molto più ordine nella mente, facendomi quindi apparir chiaro ciò che io volevo uscisse fuori da quella situazione: io e Giulia insieme con tanti saluti alla lontananza e alle difficoltà. Difficoltà che non tardarono a presentarsi e che non dipendevano assolutamente dalla mia e dalla sua volontà.
Il Natale arrivò velocemente, con esso anche la scelta del regalo che avevamo deciso di scambiarci.
A tal proposito concordammo di mantenere un profilo basso, non per un problema di mezzi, ma bensì per un fatto di significato che mentalmente avremmo dato al regalo ricevuto dall’altro.
Io, come anche Giulia, volevo che il mio dono significasse per lei amore, cosa che non può esser presente in un regalo costosissimo fatto solo per illuminare gli occhi del partner e per riceverne uno dello stesso valore. Troverei imbarazzante e mortificante che due ventenni ammiccassero l’uno all’altro per suggerire il regalo che entrambi vorrebbero ricevere, cosa che noto spesso succedere nelle coppie che conosco. Come avremmo potuto, dopo così pochi mesi, dare un’impronta materialistica al nostro rapporto? Se avessi avuto accanto un’altra ragazza, avrei fatto una figuraccia, e conosco molte persone che mi avrebbero giudicato male se avessero ricevuto da me un regalo con valore di poche decine di euro. Ma avevo Giulia, e questa è una delle situazioni che provano la sua singolare sensibilità.
Sto saltando però un passaggio, poiché io e Giulia ci scambiammo i regali dopo l’ultimo dell’anno per via dei soliti problemi organizzativi che ci affliggono da sempre. Prima di ciò, quindi, è doveroso rammentare la serata di capodanno che abbiamo organizzato unicamente io e lei.
Premetto che per lo meno i tre mesi precedenti il 31 dicembre li passammo ad organizzare un ultimo dell’anno divertente ma che potessimo passare insieme, conciliando con ciò anche la voglia di stare con i rispettivi amici. Due mesi prima della fine dell’anno trovammo una soluzione: passare capodanno in Versilia, così da poter stare insieme ma, allo stesso tempo, poter invitare i propri amici che avrebbero alloggiato rispettivamente a casa mia o a casa sua.
Giulia invitò una coppia e due sue amiche, io invitai due miei amici entrambi non accompagnati, rispettivamente Marco e Lorenzo.
Di Marco ho parlato anche in precedenza, non di Lorenzo ma basta sapere che lo conosco da dodici anni circa, che ho fatto le superiori con lui e che ne ho combinate di tutti i colori insieme a quell’individuo sempre accigliato ma pronto a ridere e ad impazzire per qualsiasi avventura proposta, anche la più sciocca.
Il piano organizzato da me e da Giulia prevedeva il cenone in un ristorante sul lungo mare e i successivi festeggiamenti da consumare al Twiga, grandissimo locale che frequentiamo d’estate ma che anche d’inverno riserva delle discrete emozioni.
La cena fu soddisfacente e, per essere il cenone di capodanno, non costò molto. Ci trasferimmo immediatamente dopo nella discoteca prefissata e iniziò la serata vera.
Mi divertii, conobbi delle persone interessanti e piacevoli che poi avrei rincontrato in futuro. Io tornai a casa mia con Lorenzo e Marco e Giulia a casa sua con le amiche. Il giorno dopo pranzammo in una pizzeria a Fiumetto, una frazioncina di Marina di Pietrasanta, dopodiché dovemmo salutarci. Avrei rivisto Giulia qualche giorno dopo sempre al mare, come ho sopra scritto.
Tornai al mare due giorni dopo.
I miei genitori, in particolar modo mia madre, iniziarono a storcere il naso perché non ritenevano giusto che passassimo così tante notti insieme dopo poco tempo dal primo incontro. Non so perché abbiano iniziato ad impartirmi quelle lezioni dopo qualche mese che già io e Giulia passavamo più giorni assieme, quindi compresa la notte.
Erano pareri dettati dalla loro esperienza personale e come coppia nata a vent’anni, come è successo a me con Giulia, ma erano anche pareri, talvolta invadenti, troppo bruschi che mi provocavano reazioni che mai avevo avuto per una ragazza, come il pianto.
Decisi comunque di andare da lei, mi misi la sveglia alle otto in punto di mattina, i miei erano ovviamente a lavoro, avevano preso le auto e quindi dovetti andare alla stazione, prendere il treno fino a Viareggio e poi la coincidenza per Pietrasanta.
Mai avevo sfidato la pazienza dei miei genitori per una cosa simile, così importante per me e così strutturale, a parer loro, per il mio rapporto con Giulia. Il mio problema consisteva nel non riuscire a trasmettere quello che provavo in quei momenti. Mi pare comprensibile visti gli argomenti. Come si fa a parlare d’amore ad una madre che in quel momento vede solo il tuo sbaglio tra l’altro inerente a quella situazione? Io in passato ho sempre avuto una condotta di comportamento, nel rapporto con l’altro sesso, piuttosto burrascosa, nel senso della toccata e fuga. In particolar modo mia madre se n’è sempre accorta e quindi lei in quella situazione pensava mi stessi comportando da perfetto opportunista.
La verità era un’altra. Amavo Giulia veramente e l’aspetto carnale, per me, arrivava dopo tutto il resto. Con Giulia è così, ti senti soffocare da quanto la sua brillantezza ti riempie il corpo, da quanto ti rende ubriaco, da quante parole vorresti dirle senza poi pronunciarne mezza, sono fin troppe e decidi di guardarla senza fiatare, come per non perderti un solo secondo di quei rari momenti in cui puoi viverla. Giulia è una macchina che viaggia sempre a sei mila giri e che, se hai l’opportunità di conoscerla un pochino, ti si schianta sul petto dandoti la sensazione di esserti fratturato anche l’ultimo ossicino del corpo.
È una donna che fa impazzire di desiderio il suo uomo senza mettere in mostra le sue fantastiche curve, senza essere ammiccante, ma comportandosi solamente da donna vera e seria a vent’anni.
Non si sente trattata male solo perché deve rimettere a posto i piatti dopo cena, anzi, questo è motivo di orgoglio e, a parer mio, di intelligenza e attaccamento alle tradizioni casalinghe.
Sa prendersi cura del suo uomo senza sottrargli la sua virilità. Mi accontenta sempre, ed ogni volta col sorriso sulle labbra, salvo quando ritiene giusto imporsi, e allora lo fa senza alzare la voce, quasi silenziosamente.
Sa che sulla bocca di una donna le parolacce e la sguaiataggine nell’atteggiamento ne fanno una gallina, come il concedersi a troppi uomini una puttana. Non per questo si sente repressa, piuttosto adorata, tenuta sul palmo di mano, sul palmo della mia mano, pronto a chiuderla come un cofanetto se la dovessi sapere in pericolo o in difficoltà.
Giulia è la donna ideale, la donna che senti accanto nonostante non tu la veda da un mese, la donna per la quale metteresti in discussione qualsiasi cosa, anche il rapporto momentaneamente pacifico coi tuoi genitori che, con pazienza, hai costruito.
Vi assicuro che sono un soggetto imparziale in questo momento, mi sto limitando a scrivere da spettatore quel che è accaduto nel mio recente passato, adesso sto indossando questa maschera apposta.
Dopo una sgradevole telefonata con mio padre arrivai da Giulia e ci trasferimmo a casa mia. Ci scambiammo i regali.
Come ho anticipato, non ho intenzione di descriverli, anche se mi è indispensabile farlo per il suo.
Non sarò preciso e non scenderò in particolari ma devo farlo per risentire quella sensazione che provo ogni volta che il solo ricordo sfiora la mia mente.
C’erano scritte molte parole, molte frasi. C’era scritta una dedica di mezza pagina con un P.S. in fondo, dopo la firma. Quel Post Scrittum contiene tutt’ora la mia certezza, la mia garanzia, quel che devo leggere per caricarmi durante un periodo buio con Giulia.
Immagino quanto le sia costato, in termini puramente monetari, quel regalo, suppongo non molto (d’altronde come da accordi) e come al solito riuscì a spiazzarmi, a schiantarsi sul mio petto facendomi rimanere senza fiato con in mano il mio regalo carino, sentito, sincero ma neanche lontanamente paragonabile al suo sotto il profilo contenutistico.
Mi si inondò il viso di lacrime, salate e piacevoli, le migliori lacrime che avessi mai versato nella mia vita.
Senza inutili sentimentalismi posso assicurarvi che non so trovare la spiegazione di ciò se non in una forte emozione provata, a quanto pare, mai prima di quel momento.
La ragazza dai polsi sottilissimi mi abbracciò e mi strinse. Io rimpiattai la mia testa tra le sue braccia, lei capì e mi lasciò lì per qualche minuto, il tempo per farmi passare il singhiozzo.
Giulia è così gracile che il vento potrebbe portarla via, ma in situazioni come quella dimostra il contrario. Questa è la femminilità che cercavo ed è ciò che voglio avere accanto sempre, da qui in avanti.
Passammo un giorno e mezzo circa da soli, isolati dalla civiltà perché Focette dopo capodanno è veramente un deserto.
Trascorso questo breve tempo andammo alla stazione di Pietrasanta perché di lì a poco sarebbe partito il mio treno per Viareggio.
Avevamo uno zaino sulle spalle a testa perché ci muovevamo in bicicletta. Sembravamo due scout e io ero terrorizzato dalla reazione che avrebbe potuto avere mio padre, indotto a ciò da mia madre.
Infatti salutata Giulia, fatto il viaggio e arrivato alla stazione trovai mio padre in macchina per portarmi a casa.
Non era arrabbiato, non alzò la voce, era contrariato, indispettito che io avessi ritenuto la mia opinione su quella questione più meritevole di attenzione e rispetto alla sua.
Mi disse, mentre tornavamo a casa, che non era d’accordo con me e con quello che avevo fatto.
Piansi in macchina guardando fuori dal finestrino, facendo si che mio padre non se ne accorgesse.
Una volta a casa non ressi più e mi piegai in due in cucina, con la fronte appoggiata sul piano cottura e le mani sulla nuca.
Sembravo un criminale, qualcuno da arrestare per aver commesso l’imperdonabile reato di aver seguito il cuore e non la mente, ovvero i consigli petulanti dei genitori.
Dovevamo andare a cena da dei vicini di casa, per colpa mia ritardammo. Non avevo intenzione di uscire di casa paonazzo dal pianto e con gli occhi ancora ricolmi di lacrime.
Mia madre, dei due la più severa in quel frangente, credo che, vedendomi in quello stato, capì, ma non poté ritrattare per non perdere la faccia e l’autorevolezza.
Dopo cena, una volta tornato a casa, telefonai a Giulia e lei seppe calmarmi.
Gli avvenimenti di quelle quarantott’ore abbiano conferito al mio rapporto con lei un che di romantico, tragico, fiabesco, ma anche doverosa serietà.
La vidi pochi giorni dopo di nuovo al mare: andai però a trovarla dalla mattina alla sera, senza fermarmi a dormire.
L’avvertii come una cosa a metà.
Per quel che mi riguarda addormentarsi e svegliarsi insieme vale molto e non ci trovo niente di sbagliato anche perché potrei tranquillamente addormentarmi con di fianco Giulia ma lasciando nel mezzo a noi due un metro di materasso, senza violare questa distanza per tutta la notte. Ma si sa, il pregiudizio, anche se in buonafede, sovrasta sempre la ragione.
Ad ogni modo fu una giornata piacevole, fredda, asciutta ma ben organizzata.
Indossavo un maglione di lana a collo alto che piace molto a Giulia, e lei portava in capo un cappello giallo di lana che la faceva assomigliare ad un delizioso puffetto.
Appena scesi dal treno la baciai e l’abbracciai forte. È esattamente ciò che mi dice l’istinto di fare nel trovarmela davanti, dopo magari un mese, così minuta e squisitamente corretta e precisa nel porsi con me, nonostante ci si conosca da ormai molto tempo.
Vedendoci con intervalli medio lunghi, quando la incontro la prima cosa a cui miro è farla sentire protetta, sicura, farle avvertire la mia presenza che purtroppo e non per colpa di qualcuno le è mancata per molti giorni. Per questo motivo la abbraccio molto forte, alle volte lei mi dice di allentare la presa perché ha paura di rimanere senza fiato, ma è ciò di cui ha bisogno, ne sono sicuro. Ed è ciò che io le darò sempre.
La mattinata trascorse velocemente, pranzammo in un fantastico ristorantino di Pietrasanta di proprietà di un uomo di mezza età e molto scorbutico, impaziente.
Giulia mi scattò una foto a tavola, avevo i gomiti poggiati sul tavolo e le mano incrociate davanti la bocca. Essendoci il sole, le ombre giocavano sul mio viso e l’effetto che ne scaturì fu davvero piacevole. La macchina fotografica che usa Giulia è una Reflex se non sbaglio, grossa e con un obiettivo lungo. Appare ancora più grande quando la usa lei per via delle dimensioni assai ridotte delle sue mani. Sono davvero piccole e gracili, ma in compenso non si sciupano per il freddo pungente del nord Italia.
Giulia si dipinge sempre le unghie con lo smalto, ogni volta ne ha uno nuovo che puntualmente mi stupisce per quanto le stia bene.
Quando camminiamo per strada, a volte, gliele prendo dentro le mie, così da scaldarle e tenerle tutte per me, dato che poi per molti giorni non la rivedrò.
Passò velocemente anche il pomeriggio, arrivò l’ora di riprendere il treno per tornare a Pistoia e quindi l’ora dei tragici saluti.
Alla fine ci andò meglio del solito, la andai a trovare due settimane dopo a Milano, sempre dalla mattina alla sera.
Sono sempre stato scettico sul vedersi in questo modo, mi è sempre parso come una tortura separarmi da Giulia alla sera, ma è ovvio che, se in quel momento non ci sono altre possibilità, ci si arrangia come meglio si può.
Andai a Firenze, da lì presi la Freccia Rossa e in un’ora e mezzo arrivai a Milano Centrale, la stazione più bella d’Italia, ancora interamente in ferro, cioè come venne costruita dal Duce.
La temperatura di Gennaio a Milano è molto bassa, ma è comunque gradevole passeggiare per il centro immerso nella folla.
Passammo la mattinata a camminare, dal Duomo mi portò nei posti limitrofi più belli, più conosciuti, più caldi anche se all’aperto, questo grazie alle vetrine storiche e alle luci giallo intenso che illuminano le nebbiose giornate invernali su al nord.
Pranzammo nella storica Salsamenteria di Parma, un ristorante che si disloca al piano inferiore, e lì noi mangiammo.
Si mangiò tanto e bene, dopo andammo a finire la camminata mattutina e Giulia mi portò in un grande parco vicino al centro dove, all’entrata, è presente una statua in bronzo di Indro Montanelli, lo storico fondatore del Giornale. Era rappresentato seduto, curvo su sé stesso mentre scriveva con la macchina da scrivere. È strana quella statua perché sembra che Montanelli indossi una tunica da prete, ma ci sta che non siano riusciti a rappresentare bene i suoi abiti. È stato un grande nel suo mestiere ed è tutt’ora un esempio per tutti i giornalisti o per chi, come me, vuole diventarlo.
Percorremmo in lungo e in largo quel parco e poi, infreddoliti dalla temperatura che col calar del sole scendeva, tornammo verso la stazione.
Montai sul treno, cercai il mio posto e venni subito investito da un’angoscia incredibile. Stavo lasciando quella città fantastica di cui mi ero innamorato nonostante ci avessi passato meno di dodici ore, e non avrei rivisto la mia Giulia per almeno tre settimane. Sarei voluto rimanere a Milano per molto altro tempo con lei, camminando per il centro fingendo di essere chi sogno di diventare da grande, anche se la donna che sognerei se non l’avessi incontrata era già lì, di fianco a me.
Tre settimane passarono in effetti. Litigammo almeno una volta, e mi sono accorto che io e Giulia discutiamo, il novanta per cento delle volte, tre o quattro giorni dopo esserci visti.
Di litigi seri e rischiosi ne abbiamo avuti pochi, la maggior parte erano e sono dovuti alla mia permalosità, che col tempo sta diminuendo, o a malintesi, a troppo orgoglio, alla voglia in un certo senso di assestare un colpetto allo stomaco dell’altro, così per far notare la propria presenza, non solo come partner ma anche come soggetto pericoloso, senza peli sulla lingua e sicuro delle proprie idee, anche se alla fin fine di quegli ideali frega poco a tutti.
Parliamo pochissimo di politica e le poche volte che abbiamo affrontato l’argomento è finita in una scazzottata verbale. A me personalmente piace e attrae molto l’argomento, a Giulia meno, ed è per questo che alle volte secondo me lei mi dava contro per l’ultimo motivo che ho sopra scritto, cioè per contraddirmi per partito preso.
È comunque fenomenale il fatto che sappia argomentare e rispondere botta botta nonostante io le presenti fatti e prove inconfutabili, di una certa rilevanza.
Una volta, nel bel mezzo di una delle nostre rare risse, mi disse “parlare con te di politica è come essere alla fiera dell’argomentazione”, ed in effetti aveva ragione.
Io ammetto di essere facinoroso e con i paraocchi come lo sono quelli che non la pensano come me, con una sola differenza però: non li considero idioti per la diversità di vedute su vari temi, cosa che invece loro fanno puntualmente con me. Giulia questo lo sa, ma le da una noia pazzesca la mia fermezza su alcuni aspetti riguardanti la cosa pubblica e la mia totale idolatria per un personaggio politico di spicco. Non perché a lei questo non piaccia, ma perché ritiene esagerato il mio affetto sincero per uno oggettivamente sconosciuto.
Ritengo che l’opinione politica si formi prima di tutto in casa, ascoltando gli adulti che ti girano attorno e informandosi dalle fonti che loro stessi usano, quindi in definitiva se ho un difetto a riguardo la colpa è dei miei genitori, sicuramente non mia.
Ad ogni modo mi accorgo della gravità del litigio se Giulia la mattina non mi manda l’sms di buon giorno. Questo è una sua prerogativa, come è la mia la telefonata serale. A quel punto dopo cena la chiamo, se i nostri animi si sono stemperati parliamo tranquillamente di altro, altrimenti continuiamo senza alcun problema la discussione iniziata ventiquattrore prima.
In privato è molto più diretta e schietta di quanto non lo sia, giustamente, in pubblico, e questo mi fa sistematicamente saltare i nervi.
Passarono una ventina di giorni, ci rivedemmo al mare un paio di volte prima di Pasqua, ovvero del nostro anniversario.
Decidemmo insieme, anche se principalmente Giulia, di fissare la data della nostra unione il giorno di Pasqua del 2011.
Come sempre passammo la sera di Pasqua al mare, consumammo i festeggiamenti al Twiga e poi ognuno andò a casa sua per dormire qualche ora. La mattina seguente rimanemmo entrambi al mare così da condividere la giornata scelta come anniversario.
Pranzammo a Fiumetto, facemmo un giro nei dintorni e poi andammo a casa mia, dove cenammo e dove io le diedi il mio regalo.
Le portai uno dei primi dischi di De Gregori, un trentatré giri, era di mia mamma e lo avevo trovato in casa di mia nonna tra le mille cose che mia madre ci ha lasciato.
Già, De Gregori, una delle porte già presenti in me e che Giulia ha contribuito ad aprire, e vi assicuro che ha dato e continua a dare soddisfazioni meritevoli d’attenzione. L’ermetismo di Francesco dà i brividi e basta guardarlo in faccia per comprenderne la preziosità.
Fa commuovere spesso e, se unite le piccole mani di Giulia che ti accarezzano con una delle sue canzoni, create nei miei occhi un ordigno pronto ad esplodere.
Lei mi fece conoscere Titanic e Sempre e per sempre, due delle mia canzoni preferite in assoluto.
Per le canzoni vale la stessa regola dei film: se ne hai una preferita e basta vuol dire che non ne conosci abbastanza.
De Gregori rappresenta, in parte, uno dei motivi per il quale io e Giulia siamo riusciti a rimanere uniti per così tanto tempo a queste condizioni estreme, cioè la particolarità, ovvero la ricerca della particolarità.
Per carità, viviamo come la maggior parte dei nostri coetanei, ma poi nel nostro piccolo siamo alla continua ricerca della particolarità, anche negli aspetti della nostra vita, come singoli e come coppia, apparentemente più insignificanti.
Una sera a Giulia glielo spiegai al telefono, lei rimase interdetta perché avvertiva dentro sé da sempre quella caratteristica, ma probabilmente non l’aveva ancora messa a fuoco.
Credo che quella sia una delle porte, già presenti in Giulia, ma che io ho contribuito ad aprire.
Un rapporto a questa distanza non può vivere senza che le due parti abbiano qualcosa di particolare all’interno della propria anima, una sorta di combustibile capace di alimentare quel fuoco che, altrimenti, verrebbe spento dal vento incessante dell’abitudine e della noia.
Io e Giulia siamo particolari, ed è per questo che io, ma credo e spero anche lei, difficilmente troverò una donna del suo calibro.
Questo è uno degli aspetti del nostro rapporto che vorrei sviluppare nero su bianco, ma che mi risulta impossibile per l’inconsistenza materiale della cosa in questione.
Io la particolarità di Giulia l’avverto in tutto, da quanto la vedo leggere, a quando leggo il titolo del libro che sta leggendo, da quando la vedo cucinare, a quando riordina una stanza.
Arrivammo nei pressi dell’esame di Stato, l’ansia cresceva e anche la tensione, in certi momenti.
Giulia, come ogni volta che si tratta di impegni scolastici, prese a cuore l’esame moltissimo, assai più di me.
Finirono tutti gli esami scritti, arrivammo vicini al giorno dell’orale che per entrambi si tenne il 3 luglio. Era un lunedì od un martedì.
Il week end precedente rimasi solo a casa perché i miei erano sulle Dolomiti, e il sabato pomeriggio litigai furiosamente con Giulia. Fu l’unico caso in cui litigammo e durante la stessa telefonata ci riappacificammo anche. Era ovviamente il tutto dovuto alla tensione causata dall’esame che andava concludendosi.
Avevamo programmato che lei sarebbe venuta a Pistoia il giorno seguente all’orale, cioè il 4 luglio e che saremmo subito partiti per la Versilia.
Facemmo l’orale dell’esame, io in certe parti feci ridere ma ne levai le gambe, salvando anche la faccia. La mattina seguente arrivò Giulia alla stazione, ci incontrammo e partimmo subito per Pietrasanta, verso casa di Giulia, dove saremmo stati per molti giorni, visto che casa mia era occupata da mia madre e poi comunque casa di Giulia è un nido perfetto, impeccabilmente sempre caloroso, estate o inverno che sia. Iniziò l’estate 2012, la seconda estate di me e Giulia.
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