ventinove dicembre, anche quest’anno sta per finire: devono prendere forma le cose – si devono distinguere, non possono restare per sempre imbrigliate nella nebbia di un inverno senza neve.
Passeggiata lenta, con la nebbia che sale e ti abbandona, ma il sole è stato un lampo breve, un momento a mezzogiorno; ora vanno svelti i passanti per le strade perchè è freddo ed il fiato fa condensa attorno al volto che si gela. Cammini guardando le vetrine, le sfavillanti luci, le luminarie che passano di balcone in balcone, le luci accese nelle case. Lenta sgrani i ricordi di quest’anno che sta passando e ti porta via un altro tempo: rimangono soltanto i segni, lievi rughe agli angoli degli occhi.
Brillano i bianchi capelli di Meriel, mentre racconta; quegli occhi così chiari si perdono nei suoi ricordi…
Quattro stagioni, dodici mesi, trecentosessantadue giorni, mattine con il caffè che spande il suo profumo per la casa, partenze affrettate quasi sempre un po’ nervose, la musica alla radio, quattro biscotti buttati giù quasi senza masticarli. Ed i pomeriggi, poco dopo, i pomeriggi con la casa da riordinare – lavare stendere stirare, i compiti da correggere, le lezioni da preparare, cucinare apparecchiare mangiare sparecchiare – e dodici mesi che ti sfilano fra le mani; trecentosessantadue giorni, telefonate e messaggi, qualche film, una settimana di ferie al mare – o forse una in montagna (questo non conta).
Gianna piange, mentre porge i polsi; scendono aspre lacrime di rimpianto, dai suoi occhi…
Appare la casa, fra gli alberi del viale, e cedi al suo richiamo: la chiave cigola nella toppa ma apre quasi subito ed il calore buono ti circonda; si fa buio, è quasi sera. L’albero di Natale splendente d’oro e di rosso si riflette contro i vetri; lo vedranno, da fuori, sarà il faro che impedisce alla tua barchetta di perdersi, sarà la bussola di un tempo che non puoi più perdere. Traccerai le righe a mano libera, inseguirai il prologo, catturerai l’epilogo ed in ogni paragrafo ingannerai Cloto e Lachesi, ma ti saranno amiche.
Maria Concessa ha messo al mondo cinque figli poi ne ha mandati tre in guerra: Grecia, Albania, Germania; l’inverno del ’40 fu freddissimo.
Evgeny Lushpi, altro QUI
Sommario
L’annata lava con la pioggia il suo cadavere.
Il tempo ha un abito da povero.
L’anima mia è un orto senza chiave.
I miei pensieri sono come gigli in un ricovero.De l’edifizio verde
de la speranza più non resta una pietra.
Lo scudo contro i colpi spietati del male perde
la tempera. La via dell’avvenire è tetra.Oh come è triste questo sommario!
Ed è forse ancora lontano
l’invocato calvario.
E tutto sembra vano, e tutto è vano…Il vento a le porte
urla insistentemente:
ed il mio cuor si sente
pieno di foglie morte.
Corrado Govoni
Racconta tutte quelle storie, dai vita a quella gente; la terza sorella non è un'amica, non chiede permesso quando entra ...
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