Magazine Talenti
E' arrivato il primo freddo. Non quello serio, da cappotto da montanaro e berretto imbottito di pelo di pecora, ma abbastanza da dormire con piumino e calzini di lana intrecciata ai ferri. Il sole, quando c'è, tramonta prima, le giornate plumbee si sono intensificate e a volte, la sera, c'è quella fredda brezza autunnale che punzecchia il viso e solletica le narici. Forse è proprio quel venticello del nord, quel soffio Scandinavao mitigato dai chilometri percorsi, ma comunque integro nella sua componente polare, che tira fuori dalle mie viscere quella voglia di andare, di muovermi, di migrare. Ho sempre sospettato di essere vagamente nomade, ma da quando sono tornata dalla Finlandia, mi sono accorta che ogni qualvolta vedo una persona dai tratti inconsueti per essere italiana, quando sento quel vento freddo e cristallino che mi punge le guance e mi scompiglia dolcemente i capelli, quando sento nell'aria l'odore di spezie inusuali o sento due persone parlare una lingua sconosciuta, mi pervade una voglia intensa di andare, mettere un cappotto pesante, un paio di guanti, infilare tutto in una borsa e andare. Andare verso Nord, dove i ghiacci diventano la tua strada, dove le notti sono lunghe e le stelle sembrano ancor più luminose, dove le persone si sono adattate alla Natura e non viceversa, dove basta camminare un po' per lasciarsi alle spalle le luci della città e immergersi in un bosco che incanta, annusare l'aria intrisa di vita silenziosa, respirare l'odore di conifere, pigne e betulle e lasciarsi camminare fintanto che i piedi lo fanno. E' notte fonda, la fuori, il vento bussa alla finestra, metto una sciarpa e lo lascio entrare; me ne sto in silenzio ad ascoltare le sue storie, i suoi racconti a immaginare vite che non sono le mie, e sogno di fare come Vianne e Anouk in Chocolat, mettere una mantella rossa e andare, con il vento del nord.
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