Magazine Diario personale
Agosto deve avere il suo momento di mare. E' obbligatorio. Altrimenti che agosto e'?!
Noi siamo andati su un'isola abbastanza abbandonata dal resto del mondo, selvaggia, impervia, rocciosa e ostile. Nessun ospedale e un unico collegamento al giorno con la terra ferma, mare permettendo. Il posto ideale per una incintissima come me. Mi avevano garantito che nella peggiore delle ipotesi sarebbe arrivato l'elicottero. Pazza? Me lo hanno detto tutti. Felice di esserci stata? O si. Tanto.
Capraia e' un'isola incredibile, unica nel suo genere, bella da togliere il fiato. Sembra spuntata dal mare all' improvviso, con tutta la sua potenza e la sua forza. Scogliere a picco sul mare, vegetazione che più mediterranea non si può e vento. Tanto. Da est, da ovest. Da su, da giù. Una bellezza da respirare a pieni polmoni, fresco e dissetante sulla pelle salata, da non riuscire a sciogliere i nodi nei capelli che diventano subito adatti per l' ambientazione, selvaggi e a modo loro perfetti così.
Libeccio, Scirocco, Maestrale e blu a perdita d'occhio.
E' questo il mare che mi piace di più. Aperto, limpido, ventoso e vivo.
Perché c'è da perdersi con una maschera e la testa sotto. E non c'è cosa che mi piaccia di più al mare dello snorkeling, dove vale la pena farlo. Se poi mi sento pesante come ultimamente è stare in acqua, quando è bella così, e' fantastico.
Poi lo facevo insieme a mio figlio. Supersupersupersupersuper.
Capraia senza una barca offre molto poco. C'è un piccolo porto animato, un paesino dove ci si arriva con una bella scarpinata in salita tra i pini o con Pino e il suo mini pulmino dai sedili arancioni. Niente macchine. 200 residenti. Che non possono proprio essere definiti ospitali. Da bravi selvaggi sono più felici senza turisti e non ci tengono a nasconderlo. Sono quello che rimane dei carcerati e secondini che popolavano l'isola anni fa. Tutti insieme, mescolati, fuori dal mondo.
Capraia era un carcere di fine pena anni fa. Un luogo da cui scappare era impossibile. Un luogo dove chi doveva scontare la pena vedeva blu e coltivava viti. Sempre una prigione, ma viene semplice pensare che fosse meno peggio di altre. Sarà per il vento libero che sicuramente soffiava attraverso le sbarre e il blu che si vedeva. Una volta chiuso molto sono rimasti. Chi non aveva più nulla, chi si era creato una vita lì, chi non sapeva dove andare, chi si era innamorato. Pescatori, ritmi lenti e pelle bruciata dal sole. Li riconosci subito passeggiando per i vicoletti di case colorate e buganvillee. Io mi aspettavo contadini, capraia - capre, e invece no. Le uniche capre che ogni tanto vedi sulla cima di una roccia a picco sul mare sono selvagge.
Ci sono due spiaggette entrambe attrezzate con sdraio e ombrelloni, pochi, e con la scaletta per entrare e uscire dall'acqua (meno male altrimenti ero ancora a mollo). Sassi, scogli, sassi, scogli. Il resto va fatto in barca. O con scarpe da trekking. Ma non era il mio caso. Barchetta o panfilo, si vede di tutto, ma un giro, almeno uno, va fatto. Perché bisogna guardarla bene per innamorarsene.
E se guardi un po' più lontano verso l' ora del tramonto e' facile intravedere banchi di tonni che nuotano controcorrente per procurarsi la cena.
Poi viene fame, ovviamente, e allora bisogna mangiare una pasta al ragù di dentice o meglio ancora con la bottarga (sempre di dentice) fatta dal proprietario, nonché campione del mondo di pesca in apnea, del ristorante La Garitta. Libidinoso.
Insomma sì, avrei potuto stare a casa tra le zanzare e l'afa della pianura padana e non rischiare di farmi un giro in elicottero per partorire in anticipo a Livorno. Non è successo e anzi Panza ha davvero gradito quest'ultimo mare.
Perché è stato proprio l'ultimo per la me piena di Lei.
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