Venuto al mondo
di Sergio Castellitto
con Penelope Cruz, Hemili Hirsh
Sergio Castellitto è un regista a cui piace lavorare con gli attori. Potrebbe sembrare un'affermazione scontata per i trascorsi del regista ancora attivo di fronte alla telecamera, ma lo diventa un pò meno se andiamo a vedere la qualità della sua regia. E' da li infatti che bisogna partire per provare a capire per quale motivo il regista non riesca a fornire una sponda alla storia ed ai suoi interpreti, con una direzione banalizzata da immagini che invece di far volare le emozioni fornite dalla pagina scritta le bloccano con inquadrature scolastiche, incapaci di evocare il mondo interiore che si agita nel cuore di Emma e Diego. Un trionfo della prima impressione, di quello che inizia e finisce nell'attimo in cui lo guardiamo, dell'allestimento scenografico, del trucco e dei costumi che trova il suo contraltare nella dedizione che invece Castellitto usa nei confronti degli attori, coccolati dalla telecamera che non perde occasione per offrire loro il palcoscenico per la battuta indimenticabile. C'è come una deferenza nel suo sguardo, in quel girare intorno all'ennesima scena madre, che rende "Venuto al mondo" un
feulletton simile a certi romanzoni cinematografici che le famiglie andavano a vedere nei giorni di festa. E se proprio si voleva stare dalle parti di un cinema esclusivamente popolare il libro della
Margaret Mazzantini da cui il film è tratto offriva a Castellitto la possibilità di farlo fino in fondo per il potenziale melodrammatico ed evocativo fornito dallo sfondo e dagli eventi delle guerre balcaniche. Ed invece, un pò per i limiti che il cinema dimostra ogni volta che si confronta con la pagina scritta, un pò per la necessità di semplificare un testo che aveva caratteristiche da grande kolossal e quindi di un costo realizzativo da cinema
mainstream, Castellitto taglia e cuce, riducendo al massimo gli inserti bellici e puntando esclusivamente sul pathos e sul carisma di due divi come
Penelope Cruz e Emile Hirsh. Nonostante questo rimangono nel film le tracce di un racconto che parla di amore e di sacrificio in un ottica che fonde in un unico afflato la vicenda privata di Emma e Diego, che trovano nella
Sarajevo assediata da bombe e cecchini l'opportunità di avere quel figlio che la natura gli aveva definitivamente negato, al dramma degli uomini e delle donne che di quei fatti furono vittma. E poi la suggestione del corto circuito che confonde l'arte con la vita nel gesto altrettanto amoroso con cui il regista filma il suo primogenito, qui impegnato nel ruolo di Pietro il figlio dei due protagonisti. "Venuto al mondo" poteva essere un film migliore, ma resta comunque onestamente ancorato alla passione di chi l'ha portato sullo schermo.