Non so se mi sarei mai avvicinata a un libro simile di mia iniziativa.
Venuto al mondo, Margaret Mazzantini,
Mondadori, 2008
Questo libro parla di madri, figli e padri. Del desiderio di maternità, del significato del mettere al mondo un figlio: di quanti padri e madri siamo figli?
Nel libro ci sono anche la guerra, la violenza, la disperazione.
E' la storia di Gemma e Diego, dove lei è più grande di lui, più seria, più rigida, più triste; mentre lui è così intenso, curioso, sempre con la sua Leica in mano a fotografare pozzanghere.
Un'intensa storia d'amore che si corrompe, si sporca quando qualche ingranaggio comincia a non funzionare.
Una storia dimenticata in qualche angolo della vita di Gemma, finché un giorno non arriva una telefonata, da parte di un amico creduto perduto, il poeta-soldato Gojko.
E così Gemma parte con il figlio, destinazione: Sarajevo.
Ho letto questo libro perché lo sta leggendo il mio quasi gruppo di lettura.
Non credo l'avrei preso in mano da sola.
E' uno di quei libri che all'apparenza traboccano di italianità da tutti i pori, ovvero: argomenti seri, personaggi tormentati, atmosfere tristi.
Se dovessi dare un colore alla cultura italiana
credo che il grigio sarebbe adattissimo.
Però sentirei il dovere di avvertire che è una lettura impegnativa, molto impegnativa.
Quando prendi in mano questo libro devi prenderti il dovere di finirlo se vuoi "godertelo", un po' come ho fatto io: mi sono imposta di finirlo solo per il gruppo di lettura.
Altrimenti credo che l'avrei mollato a metà.
Gojko, dal film. E' un bel personaggio, migliore di Gemma,
mi è piaciuto perché non cerca mai l'approvazione del lettore.
In questa parte inoltre, secondo, me ci sono alcune incoerenze. Diego è un fotografo amatoriale all'inizio, Gemma lavora in redazione, è precaria come dice lei stessa, allora come riescono a fare tutti quei viaggi a Sarajevo? Tutte le visite mediche, l'appartamento etc?
Non so, è una cosa che mi son domandata per tutto il romanzo.
Sarajevo. Una parte bella del libro è quando viene descritta
la vita quotidiana di questa città, che molti, io per prima,
conoscono solo per via della guerra, dei bombardamenti.
Quella si che è interessante, che ti prende, che ti fa male.
E poi arriva la conclusione, che non ti aspettavi. Solo allora capisci la genialità e crudeltà della storia, l'orrore.
Però, come dire, la seconda parte del libro è quasi una storia a sé, quasi staccata dalla prima parte, legata solo dal sottilissimo filo conduttore del romanzo, la maternità.
Posso dire che il libro racconta una bella storia, però triste, triste, triste.
A chi lo volesse leggere direi di sforzarsi di arrivare alla fine.
E non so se è giusto che un libro ti "costringa" ad arrivare alla fine per poter essere apprezzato.
Secondo me un libro deve saper coinvolgere anche prima, deve stuzzicarti ad andare avanti.
In ultimo, nonostante abbia apprezzato la storia, non ho amato il modo di scrivere della Mazzantini.
Questo suo descrivere ogni singola scena, ogni gesto, con molta calma, mi ha esasperata; e l'alternarsi di poesia e imprecazioni mi dava l'impressione di guardare una ragazzina di chiesa che vuole provare l'ebrezza delle parolacce, un po' imbarazzante.
Nel finale la lentezza della descrizione diventa micidiale, ti stritola lo stomaco, anche se nella prima parte ti uccide di noia.
Lo scorso inverno è stato anche estrapolato un film dal libro, che guarderò al più presto ovviamente.