Autorevole, agg.
Spero mi perdonerete se la prendo un po’ alla lontana per arrivare al succo di questa definizione. Nell’antica Roma il passaggio dalla repubblica all’impero non fu un fatto traumatico, ma una transizione molto lenta. Soprattutto con i primi imperatori non ci furono modifiche dell’assetto istituzionale, che rimase sostanzialmente quello della repubblica; l’imperatore era tale e governava perché deteneva contemporaneamente cariche che in epoca repubblicana erano ricoperte da persone diverse, ma soprattutto perché gli era riconosciuta l’auctoritas per farlo. Senza questa auctoritas – che dobbiamo tradurre con autorevolezza e non con autorità – l’imperium – in questo caso serve invece il termine italiano autorità – connesso alle sue singole cariche – console, pontefice massimo, tribuno della plebe e così via – non sarebbe stato sufficiente per governare. Per il diritto romano quindi l’auctoritas era l’attività mediante la quale un determinato soggetto integrava gli effetti dell’attività di un altro, di per sé non sufficiente a produrli pienamente; infatti questo termine ha la stessa radice del verbo augere, che significa accrescere, aumentare, da cui deriva anche il sostantivo italiano autore.
Per tornare all’oggi, dell’autorevolezza si può dire la stessa cosa che diceva don Abbondio del coraggio:
uno non se la può dare.
Verissimo. Però qualcosa si può fare, almeno per non disperdere quella poca che si ha. Ora, a me in fondo spiace prendermela sempre con Renzi, ma non posso farci niente se lui è fatto così; come diceva un comico napoletano molti anni fa, prendendo in giro il leghismo agli albori:
non sono io che sono razzista, sono loro che sono napoletani.
Un presidente del consiglio – o un ministro o un sindaco o qualunque altra autorità – diventa più autorevole se si getta addosso un secchio di acqua ghiacciata? No, fa la figura di quello che segue ogni moda del momento e rischia di rendersi ridicolo. Credo che sia la ragione per cui né Obama né nessun altro capo di governo europeo abbia deciso di accettare questa sfida.
Il problema però non riguarda solo Renzi e la sua doccia gelata, ma credo abbia risvolti più ampi.
Ormai sembra preistoria, ma ricordo quando Alessandro Natta, allora segretario generale del Pci, accettò di andare come ospite al programma di Raffaella Carrà, allora icona – insieme a Pippo Baudo – della televisione nazional-popolare. Allora i politici andavano in tv solo per partecipare alle tribune politiche o ai programmi di informazione – che erano pochi e soprattutto molto diversi dagli odierni talk show. Che il segretario del Pci andasse ospite a un programma di intrattenimento di quel tipo parve a qualcuno scandaloso e segnò in qualche modo una rottura. Comunque sia, quel passaggio sui candidi divani della Raffella nazionale non sminuì l’autorevolezza di Natta, che è rimasto uno degli ultimi “signori” della politica italiana, una persona gentile e un intellettuale raffinato, una figura della sinistra italiana che dovremmo prima o poi rivalutare.
Sono passati trent’anni e adesso è normale che un politico partecipi a qualunque programma, facendo qualunque cosa: li abbiamo visti cantare, raccontare barzellette, cucinare, ballare, giocare a calcio, prendere torte in faccia. O appunto gettarsi addosso secchiate d’acqua. Tra i motivi per cui rimpiangiamo la prima Repubblica - che per molte ragioni non sarebbe affatto da rimpiangere – o soprattutto ricordiamo con nostalgia figure come Berlinguer e Moro, c’è anche questa progressiva, ma inesorabile, perdita dell’autorevolezza delle attuali classi dirigenti.
Ovviamente io so – come lo sapeva mio padre – che anche Berlinguer si metteva i pantaloni una gamba per volta; e faceva lo stesso perfino Togliatti. Però quei leader – e gli altri di quelle generazioni lì – erano tali anche perché la loro autorevolezza derivava dal fatto che i miltanti, gli elettori – il popolo in buona sostanza – li poteva considerare migliori di loro, più capaci, più intelligenti. Spesso lo erano davvero, ma certamente non si mettevano nelle condizioni di apparire ridicoli, non facevano dichiarazioni tutti i giorni, a ogni ora del giorno e della notte. So che ormai a noi sembra impossibile da credere, ma quelli lì pensavano prima di dire o di fare qualunque cosa; ovviamente questo non impediva loro di commettere errori – e molti ne hanno commessi – ma soprattutto non avevano l’ambizione di essere come noi, di scendere al nostro livello.
E’ passata ormai questa idea malsana che un politico per vincere le elezioni debba essere come noi, fare le stesse cose che facciamo noi. E così abbiamo avuto Bossi in cannottiera che faceva il gesto dell’ombrello o Berlusconi che raccontava barzellette sporche agli altri leader negli incontri internazionali. E adesso abbiamo Grillo che manda tutti… sappiamo dove, la Boschi che sfila in spiaggia o Renzi appunto che si fa la doccia di acqua gelata. Ma loro dovrebbero essere meglio di noi. Almeno sembrarlo. Non è una forma di ipocrisia, come qualcuno potrebbe obiettare, ma una regola di civiltà, proprio perché loro ci rappresentano, anzi dovrebbero rappresentare la parte migliore di noi, e non sempre la peggiore. Come fanno adesso. E non puoi considerare autorevole qualcuno a cui vedi fare le stesse cose che fa un cretino al bar.
Poi mi rendo conto che i tempi sono cambiati e che anche alcune di queste regole sono cambiate. Non è più obbligatorio indossare alla Camera un simbolo del conformismo borghese come la cravatta, come pure esigeva il comunista Ingrao, ma non puoi neppure partecipare alle sedute in bermuda e infradito, come temo succederà tra poco, se continuioamo a seguire questo andazzo.
Augusto sapeva far crescere la propria auctoritas anche attraverso le statue ossia attraverso le immagini di sé che giravano in quel vastissimo impero, che egli infatti controllava e di cui aveva codificato una serie di standard, per trasmettere appunto una serie di messaggi. E questo è sempre avvenuto, pensate alla celebre foto di J. F. Kennedy con il figlio che gioca intorno alla scrivania della Casa bianca o a quella che ritrae l’abbraccio di Obama e Michelle dopo la rielezione. O alle immagini di Togliatti, tutte uguali in tutte le sezioni del partito in Italia. Anche così si costruisce l’autorevolezza.
Adesso è impossibile controllare ogni propria fotografia e quindi ogni smorfia rischia di essere ripetuta all’infinito sulla rete, ma almeno non fatele apposta.