Azzardo, sost. m.
Per questa definizione voglio partire, ancora una volta, dall’etimologia. Questa parola deriva dall’arabo az-zahr, che significa dado. Sono molte le parole della nostra lingua che vengono da lì: come noto le lingue non conoscono razzismi e le parole varcano bellamente i confini costruiti dai governi. Sempre dalla stessa radice nell’italiano antico troviamo anche la parola zara, per indicare un gioco con i dadi, molto diffuso durante il medioevo in tutti i paesi dell’Europa. Di questo gioco ci parla Dante, all’inizio del VI canto del Purgatorio:
Quando si parte il gioco de la zara,
colui che perde si riman dolente,
repetendo le volte, e tristo impara;
con l’altro se ne va tutta la gente;
qual va dinanzi, e qual di dietro il prende,
e qual dallato li si reca a mente;
el non s’arresta, e questo e quello intende;
a cui porge la man, più non fa pressa;
e così da la calca si difende.
Dante usa questa immagine, evidentemente consueta a lui e ai suoi lettori, per descrivere le anime che gli si fanno intorno, lo strattonano, cercano di attirare la sua attenzione. In tanti stanno intorno al vincitore – questo lo sappiamo bene anche noi – mentre attorno a chi perde si fa il vuoto. Probabilmente oggi, con gli stessi toni vividi e con la stessa incisività, Dante racconterebbe le donne anziane che rimangono attaccate alle slot nei bar di periferia, sperperando tutti i loro magri risparmi.
In questi giorni capita di leggere molti commenti sul gioco d’azzardo. Probabilmente governo e parlamento rimedieranno davvero a quello che è stato eufemisticamente definito “errore” dal presidente del consiglio e non saranno penalizzati quei Comuni che aumenteranno la tassazione per le sale gioco. Comunque ormai l’errore è stato fatto ed è significativo.
Naturalmente chi scrive ha firmato la sua brava petizione online contro l’emendamento, ha detto e scritto – dove poteva e come poteva – che si tratta di una cosa orribile, ma con altrettanta franchezza devo dirvi che, a questo punto, si tratta ormai di una battaglia perduta. I buoi sono irrimediabilmente scappati e il bovaro, ben lungi dal voler chiudere le porte della stalla, si gode la sua tangente.
In Italia storicamente è lo stato il gestore del gioco d’azzardo, il re prima e poi la repubblica: casinò, lotto, lotterie, totocalcio rientravano sotto la diretta giurisdizione del ministero delle finanze. A un certo punto, alla fine degli anni Ottanta – quando cominciò la sbornia delle privatizzazioni – lo stato si è ritagliato il ruolo – ben più remunerativo – di socio, lasciando la gestione vera e propria ai privati. Come noto si tratta di un mercato molto lucroso, che garantisce ricchi guadagni sia ai gestori che allo stato.
E’ altrettanto noto che in questo ricco traffico la criminalità organizzata ha assunto un ruolo sempre maggiore; e così, più o meno consapevolmente, in questo modo lo stato è diventato socio della criminalità organizzata, alla faccia di ogni sbandierato impegno antimafia. Ecco dove e quando si è avviata – e fiorisce tutt’oggi – la vera trattativa stato-mafia.
Ormai il gioco d’azzardo regge una parte significativa del bilancio statale, paga il nostro welfare. Diventa inutile sottolineare ancora una volta che Il gioco d’azzardo crea dipendenza, al pari delle droghe, del fumo e dell’alcol; conosciamo già troppe storie, finite tragicamente, di persone rovinate per il gioco e purtroppo spesso ciascuno di noi conosce persone, e le loro famiglie, che hanno sofferto per questo vizio. Naturalmente ogni persona risponde per se stessa e deve essere consapevole delle proprie scelte e delle loro conseguenze, ma quanto ormai è pervasivo il messaggio che ci fa credere che il gioco possa cambiare in meglio la nostra vita, mentre è sempre il banco che vince e il banco adesso è in mano allo stato e alla mafia, solidamente intrecciati.
Forse neppure Dante troverebbe le parole giuste per indignarsi.