Demenziale, agg.
Per onestà intellettuale bisogna dire che questo aggettivo non l’ha inventato Roberto “Freak” Antoni (anche se lui è stato il primo a parlare di rock demenziale), ma certamente dopo di lui questa parola ha avuto tutto un altro significato.
Immagino che i miei lettori più attenti si siano già accorti che questo non è davvero un vocabolario – se volete sapere cosa significa una parola è meglio che continuiate a sfogliare quello che avevate alle medie – ma il pretesto per parlare d’altro. E oggi provo a fare qualche riflessione su quello che ci ha lasciato, lasciandoci, Roberto.
Io non conoscevo Roberto “Freak” Antoni, ma ho deciso di citarlo in questa definizione sempre con il nome proprio, non per fingere un’amicizia che non c’era – come fanno ad esempio i dirigenti del Pd che si chiamano per nome mentre si accoltellano – ma perché in fondo Bologna è una piccola città di provincia e noi che ci siamo nati e che ci siamo vissuti un po’ ci conosciamo tutti e ci viene naturale darci del “te“, anche se viviamo lontano e – come nel mio caso – ho rotto molti ponti con quella città.
La morte di Roberto potrebbe essere un’occasione per Bologna, anche se credo che i bolognesi non sapranno coglierla, se conosco bene i miei chickens. Sarebbe l’occasione per riflettere sul ’77 e su quello che ha rappresentato per quella città. Il ’77 a Bologna non è stato soltanto gli scontri, i blindati di Kossiga nella zona universitaria, il carrello dei bolliti del ristorante al Cantunzein ribaltato in piazza Verdi, l’uccisione di Francesco Lorusso da parte della polizia, la tensione tra il Movimento e il Pci “istituzionale”; certo tutto questo c’è stato e ha pesato come un macigno nella storia della città, anche perché il 2 agosto del 1980 qualcuno volle dare un segno terribile del proprio potere e decise di colpire proprio Bologna.
Il ’77 è stato anche e soprattutto un momento di fervore creativo e l’ultima occasione in cui Bologna è stata al centro della scena culturale italiana, per scivolare poi progressivamente e inesorabilmente verso la mediocrità in cui si trova oggi. Roberto è stato uno dei protagonisti di quel momento culturale alto, che bisognerebbe trovare il modo di studiare con serietà, al di là di qualche iniziativa che verrà fatta – magari sotto l’auspicio di Merola – in cui finisce per rimanere solo la nostalgia, come nelle trasmissioni televisive sugli anni Sessanta, stile Carlo Conti. Se a Seattle è nato il museo dell’epoca del grunge, a Bologna potrebbe ben nascere quello del ’77, anche se Roberto e Andrea Pazienza sarebbero i primi a prendere poco sul serio l’idea di un museo su di loro.
“Fate cagare” diceva Roberto guardandoci dal palco ed effettivamente non possiamo dargli torto. E’ la realtà italiana ormai a essere diventata demenziale, tanto che Roberto si è dovuto rifugiare in Satie per continuare il suo percorso di ricerca musicale. Basta aprire un giornale o guardare la televisione per renderse conto.
Roberto ci ha lasciato, oltre alle canzoni, alcuni aforismi di crudele cinismo. A me è sempre piaciuto questo:
Toccato il fondo, a me capita di cominciare a scavare.
Roberto, abbiamo già in mano il badile.