Quorum, s. m.
La storia etimologica di questa parola merita di essere raccontata. Si tratta naturalmente di una parola latina, il genitivo plurale del pronome relativo qui, che però arriva in italiano dall’inglese. Infatti si tratta della prima parola del testo di un’antica legge inglese che fissava in due il numero minimo di giudici indispensabile affinché un processo fosse valido.
Quorum vos duos esse volumus…
Ossia:
Dei quali vogliamo che voi siate due…
Nella prassi parlamentare inglese il termine ha quindi indicato il numero legalmente necessario per la validità delle adunanze e delle votazioni degli organi collegiali. E da qui questa parola ha cominciato a essere usata anche per indicare il numero minimo di voti necessario per l’elezione di un candidato o la soglia necessaria per far sì che una lista acceda alla ripartizione dei seggi.
Come noto la legge italiana che regola l’elezione dei rappresentanti italiani nel parlamento europeo prevede, probabilmente in maniera incostituzionale, che accedano al riparto dei seggi solo le liste che abbiano superato il 4% dei suffragi. Ed è ormai altrettanto noto che questo risultato è stato raggiunto, per poche migliaia di voti, dalla lista L’Altra Europa con Tsipras, che io ho convintamente votato e per cui, nel mio piccolo, ho fatto campagna elettorale, insieme a un po’ di altri “sinistri sparsi“.
Negli ultimi giorni della campagna elettorale il raggiungimento del quorum era diventato il nostro obiettivo e quindi esserci arrivati, seppur per il rotto della cuffia, è stato un elemento di grande soddisfazione. Ovviamente la parte faticosa comincia adesso. Se non ci fossimo arrivati sarebbe stato un disastro perché ciascuno sarebbe tornato per la sua strada, “sanza meta“, ma il fatto di esserci arrivati non ci garantisce che il cammino sia in discesa, come qualche entusiasta sembra pronto a credere. Anzi.
Il voto italiano e quello europeo offrono alcune opportunità, ma anche diverse insidie. Andiamo per ordine e partiamo dalle prime.
La sinistra in Europa c’è e c’è soprattutto dove la crisi ha colpito più duramente e dove con più determinazione – in quanche caso con ferocia – sono state applicate le regole dettate dalla troika e dal finanzcapitalismo: Grecia, Spagna, Portogallo e Irlanda. In Grecia Syriza è diventato il primo partito, in Spagna ha ottenuto un risultato importante il nuovo partito Podemos, nato sulla spinta del movimento degli indignados, che finalmente hanno deciso di non continure a rimanere “neutrali”, ma di partecipare al voto e di aderire al gruppo parlamentare della sinistra; un dato non scontato, vista la storia recente di quel movimento. Poi è nato un leader, Alexis Tsipras, altro dato all’inizio non scontato, vista una certa propensione – per usare un eufemismo – della sinistra europea a dividersi piuttosto che a unirsi. Tsipras è riuscito a proiettare la propria lotta di resistenza nazionale in una dimensione europea, e non solo ha riconosciuto che questa è l’Europa che provoca la sofferenza del suo paese, contro cui lui si è battuto e si batte, ma ha anche detto che questa è l’Europa che vuole cambiare; questo è il salto che dobbiamo fare anche noi, insieme a lui. In Italia poi siamo riusciti a mettere un piede dentro la porta e questo, date le condizioni di partenza, è stato già un risultato importante.
Un’altra opportunità, almeno per la sinistra radicale in Italia, sembra venire da come si stanno muovendo le altre forze politiche. Vedremo cosa faranno nelle prossime settimane Grillo e Casaleggio; comunque sia, la scelta di avviare un dialogo con alcune forze schiettamente conservatrici – se non criptofasciste – come l’Ukip di Nigel Farage, potrebbe creare seri problemi agli elettori di sinistra e progressisti del Movimento Cinque stelle. Il risultato supefacente del Pd di Renzi è certamente un’insidia, come dopo dirò, ma potrebbe diventare un’opportunità. La improvvisa – e interessata – conversione al renzismo di molti esponenti della cosiddetta “sinistra Pd” elimina un alibi che ha consentito a tanti compagni di continuare, nonostante tutto, a votare Pd, anche contro l’evidenza.
La maggiore insidia, come dicevo, sta proprio nel risultato, inatteso in questa percentuale, di Renzi. Un partito così grande, senza reali e credibili avversari, crea una forza di attrazione a cui non è facile sfuggire. Non si tratta solo della tendenza - innata in questo paese – di “andare in soccorso del vincitore“, come diceva Flaiano, ma di qualcosa di politicamente comprensibile. In fondo il Pd di Renzi è l’unico partito del centrosinistra che ha avuto un risultato positivo in queste elezioni e per molti elettori di sinistra può essere convincente pensare che sia meglio sostenere i tentativi di Renzi di riformare l’Europa piuttosto che cedere al pericolo populista e fascista, che pure ha ottenuto risultati significativi. E’ ovviamente più facile affidarsi a Renzi, che ha tenuto a freno Grillo, piuttosto che ad Hollande che è stato sconfitto da Le Pen.
Io credo che il risultato di queste elezioni europee ci consegni tre opzioni che possiamo personalizzare in Merkel, Tsipras e Le Pen. C’è la continuità nella governabilità dell’Europa, rappresentata da Merkel, e ci sono due visioni opposte di cambiamento: la rifondazione dell’Europa, rappresentata da Tsipras e la sua distruzione, incarnata da Le Pen. In questo scenario i socialisti europei – anche nella “via italiana” proposta, in maniera confusa e velleitaria, da Renzi – sono schiacciati e di fatto ininfluenti, avendo già accettato la continuità proposta dalla cancelliera tedesca, attraverso le larghe intese, di cui Schultz è l’azionista di minoranza, oggi in Germania e domani in Europa.
Dato che il quorum non può e non deve bastarci, dobbiamo capire cosa fare domani.
Io credo che dobbiamo rimanere autonomi e penso che sbaglino quei compagni che ci dicono – ovviamente quelli in buona fede e quelli che non lo fanno pensando al proprio tornaconto personale – che sia necessario “lavorare da dentro“. Se facessimo così perderemmo la nostra identità, senza peraltro riuscire a incidere davvero né sugli assetti europei né sul renzismo. Noi dobbiamo avere due grandi obiettivi “nostri”: basta austerità e potere alla democrazia. E su questi obiettivi dare battaglia, incalzando i socialisti europei e anche Renzi, che rimane comunque cosa diversa rispetto a quella famiglia, a cui ha aderito senza convinzione e senza condividerne la storia e la cultura. Renzi è e rimane un centrista moderato, che solo in Italia può passare per un leader del centrosinistra.
Dobbiamo riuscire partendo da noi, da una nostra idea autonoma di Europa e di società. Se adesso ci ripiegassimo in una logica essenzialmente politicista, misurandoci nel rapporto con gli altri – che siano Renzi e il Pd in Italia o Schultz e il Pse in Europa – saremmo sconfitti. Abbiamo bisogno di ridefinire la nostra identità di sinistra. Questa è l’essenza stessa della politica come elemento della democrazia, ossia la definizione di sé nel progetto generale; altrimenti si finisce succubi della trasformazione della politica in gestione del potere e di ricerca del fattibile, nel quadro dato, un quadro che però costruiscono altri e mai noi. La radicalità sta nel non accettare questo sistema che ci hanno imposto, ma di provare a pensarne uno diverso e alternativo.