Scatto, sost. m.
Questa parola – dal latino ex, ossia fuori, e captare, intensivo di capere, ossia prendere – ha indubbiamente un valore onomatopeico: infatti la parola riproduce in qualche modo il suono dell’azione. I più giovani dei miei lettori non possono ricordarlo, ma la grande maggioranza di voi ha fatto esperienza degli scatti di un telefono a gettone e può testimoniare che quando il gettone scendeva faceva proprio quel suono lì. Uno scatto.
Oggi però non è lo scatto di un archeologico telefono a essere balzato agli onori delle cronache, tanto da meritare una definizione in questo pur umile dizionario. Sono invece gli scatti allo stipendio degli insegnanti, prima concessi e poi frettolosamente ritirati; come noto nei prossimi mesi i lavoratori della scuola dovrammo restituire il maltolto.
Ora mettiamo le mani avanti e anticipiamo le vostre facili ironie: noi dipendenti pubblici non scattiamo, mai; è contro la nostra natura.
Tornando al tema del giorno, questa repentina decisione del sedicente governo italiano ha provocato uno scatto d’ira, un moto di sdegno, non solo tra gli insegnanti – come era legittimo e doveroso aspettarsi – ma anche da altri.
Perfino un politico che ora va per la maggiore, già sindaco di una bella città del centro Italia, si è improvvisamente ricordato che esistono gli insegnanti e – dato che qualche suo consigliere gli ha spiegato che votano perfino – è andato in televisione – anche se l’ha fatto di malavoglia, vista la sua naturale ritrosia – per difendere i loro diritti. Naturalmente a questo qui, come a tutti gli altri che in queste ore hanno difeso gli scatti acquisiti degli insegnanti, poco importa della scuola, ma ogni occasione è buona per dare una stoccata a questo governo e quindi hanno usato anche gli insegnanti.
Il problema francamente – non me ne vogliano gli amici e le amiche insegnanti, siete un buon numero tra i miei lettori più fedeli – non è tanto quello degli scatti in sé. Naturalmente spero vi lascino quei quattro spiccioli, che si aggiungono a uno stipendio già inadeguato per un lavoro come il vostro.
Il problema vero è che già domani – al massimo dopodomani – finita la flebile eco della polemica di giornata, della scuola non importerà più nulla a nessuno. La scuola sparirà dai titoli dei giornali e dalle home page dei siti per tornare nel dimenticatoio in cui l’hanno relegata i nostri governi - tutti i nostri governi, di centrodestra e di centrosinistra – in questi anni. Abbiamo purtroppo assistito a una girandola di riforme e di controriforme, di cui abbiamo ormai perso il conto, nessuna delle quali ha migliorato davvero la scuola, la situazione è sempre peggiorata.
Alcune cose sulla mia idea di scuola, le ho scritte pochi giorni fa nella definizione di educare e non ci torno. Voglio solo dire che se andassi al governo – cosa che non succederà mai – la prima cosa che farei sarebbe quella di tornare a mettere l’aggettivo pubblica nel nome del ministero.
Comunque, passati gli scatti – che forse vi saranno perfino lasciati, cari amici insegnanti – continueremo a non parlare dello stato fatiscente di molti edifici scolastici, continueremo a non parlare del problema degli abbandoni – che in alcune zone d’Italia raggiunge picchi spaventosi – soprattutto continueremo a non parlare di un’istituzione che ha perso progressivamente il senso della propria missione civile.
Questo è avvenuto, nonostante il lavoro di molti di voi, ma anche per colpa di qualcuno di voi, che ha vissuto e vive la scuola in modo superficiale, lo considera un lavoro come un altro, che gli garantisce un magro stipendio, pochi problemi e parecchio tempo libero. Io sono un dipendente pubblico, orgoglioso di esserlo e della funzione pubblica del mio lavoro; mi arrabbio molto con ci addita genericamente come fannulloni, ma mi arrabbio anche perché i fannulloni ci sono, prendono lo stesso stipendio che prendo io e non fanno quello che dovrebbero fare. E questi ci sono anche tra i colleghi della scuola, magari sono anche quelli che oggi fanno più caciara perché hanno tolto loro gli scatti.
Il nostro paese – come ogni altro paese che vuol essere democratico - ha bisogno della scuola pubblica, di una scuola pubblica che funziona bene, con insegnanti preparati, che lavorano e ben retribuiti per il lavoro che fanno. In Italia siamo lontani da questo obiettivo, e infatti siamo sempre meno un paese democratico.
Servirebbe proprio uno scatto d’orgoglio.