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Vergognarsi per Langone

Da Dave @Davide

Vergognarsi per Langone

Sì, scrivendone si fa il gioco delle attention whore e «certe cose si commentano da sole» e non si può limitare lo sguardo all’indignazione per un articolo di un retrogrado, ma tant’è: La non indifferenza che uccide, scritto ieri sul Foglio da Camillo Langone, non è soltanto il peggior pezzo finora uscito in Italia sulla strage di Lampedusa o un encomiabile stratagemma per ribadire, in bella forma, le tesi di un giornale e buona parte della destra italiana. È un coacervo di parole di cui vergognarsi – e siccome Langone, probabilmente convinto che il fine della critica giustifichi i mezzi del dispregio delle vittime, non lo farà mai, tanto vale che qualcuno lo faccia al posto suo.

Bisogna ignorare, bisogna passare sopra, bisogna far finta che non esista o gli si darà motivo per riscrivere la prossima volta, dicono. E hanno ragione, intendiamoci. Ma certe parole chiamano una risposta, sono talmente “oltre” da risultare un naturale innesco di indignazione e spaesamento; semplicemente scottano perché  sono fuori misura, scorrette, false e indicibilmente oltraggiose. Questo è quasi sempre il caso degli interventi langoniani.

Tra le tante cose che andrebbero spiegate alla fine penna di Langone, inizierei da Cécile Kyenge, casus belli di tutti i commenti più stupidi e scompaginati sulla questione immigrazione: che piacciano o meno le sue proposte e il suo modus operandi, Enrico Letta non ha «illuso» nessuno nominandola ministro, né ha fatto passare il messaggio che in Italia «basti metterci piede per fare carriera a spese del contribuente» (i migranti spesso arrivano in Italia perché è da qui che cercano di raggiungere il nord Europa, a dirla tutta – il «paese di Bengodi» non è nemmeno la loro meta ultima). Oh, e chiamarli «migranti» e non «invasori» – come acutamente suggerisce Langone – non è affatto avere pregiudiziali positive buoniste, ma semplicemente attenersi al dizionario.

Il clou arriva con «Insiste a illuderli Napolitano parlando di “strage degli innocenti”». Qui l’autore catto-integralista illustra una tesi traballante sul piano logico e abietta su quello umano: se li consideriamo innocenti – i 300 morti di Lampedusa – altri come loro verranno a chiederci qualcosa. Ma non possono essere altro che tali, e motivare tale malvagità con un richiamo al Vangelo è un modo piuttosto contraddittorio di provare le proprie ragioni.

Per concludere, se dovessimo proprio trovare un corresponsabile alla sciagura accaduta ieri – e in questo momento dobbiamo a tutti i costi: le discussioni su leggi e politiche migratorie si trovano agli antipodi rispetto a pezzi del genere – sarebbe chi riesce a rispondere a una tragedia facendo bel vanto di toni ironici e battutine teatrali, il tutto condito con una prosa da barocchetto che poco si addice a trecento lutti; chi commenta facendo seguire (e non precedere) ai suoi strali il cordoglio per le vittime, mettendo in dubbio la sincerità dello stesso; quelli che non sganciano nemmeno i centesimi che danno fastidio in tasca se il mendicante di turno non è italiano; quelli come Camillo Langone, insomma. E per loro e le loro retoriche da fascismo latifondista, in giornate come questa, si può solo provare vergogna.

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