La società, lungi dall’essere una semplice somma matematica di individui, si compone di persone con una particolare visione onnicomprensiva di sé e del mondo, maturata nel corso della vita, come sintesi del bagaglio culturale, delle esperienze vissute e di quel plusvalore costituito dalla peculiarissima natura di ciascuno. Questa peculiarità umana, che trova la propria espressione e manifestazione nella vita di singoli o di membri di un gruppo omogeneo di consociati, influenza i giudizi e le scelte di ogni persona, singola o in comunità. C’è di più. C’è un pluralismo fatto di culture, tradizioni, fedi, costumi e visioni del mondo tutte originariamente diverse ed eterogenee.
La molteplice compresenza di diverse valutazioni del giusto e dell’ingiusto, pone in risalto il difficile compito assunto da chi oggi è alla ricerca di una teoria della giustizia. La prima domanda alla quale rispondere riguarda quale particolare concezione della giustizia vada privilegiata in vista di una concreta azione normativa e, quindi, politica.
La visione onnicomprensiva di ciascuno è feconda nella misura in cui si incontra con quella degli altri, e questo contatto dischiude in ciascuna una nuova prospettiva con la quale guardare, potremmo dire, alla verità “più intera”.
Pensare una teoria della giustizia significa superare il consenso della tecnica giuridica, importante ma limitata, per individuare la verità che si fa presente nelle personali interpretazioni.
La convivenza tra visioni comprensive che generano molteplici prospettive sulla giustizia richiede una pratica condivisa che, alla luce delle diverse interpretazioni dell’unica “verità”, possa portare alla cooperazione e alla concordia sociale delle istituzioni. Così come ciascuno è in relazione con l’unica verità, incarnandola nella propria persona, allo stesso modo, una pratica condivisa capace di creare l’incontro delle diverse visioni comprensive rappresenta una verifica e un’apertura delle credenze di ciascuno.
In questa ricerca gioca un ruolo determinante la filosofia. L’indagine filosofica, infatti, non consente aspirare a soluzioni irresistibili e conclusive. La possibilità di rispondere alle domande di senso in modo sempre nuovo e diverso, ciascuno secondo la propria concezione di ciò che vi è, di ciò che vale e di chi noi siamo, diventa uno strumento al servizio del pluralismo e del dialogo interculturale.
A. Iaccarino, Verità e giustizia. Per un’ontologia del pluralismo, Città Nuova, Roma 2008.