c’è stato un periodo – un brutto periodo – in cui ero in sar. ha coinciso questo periodo più o meno con il post partum. ero là sopra confinata e non vedevo raggi di speranza a illuminare la mia situazione. di notte leggevo tantissimo, mentre il resto del mondo dormiva saporitamente. ero insonne per una serie di concause: le poppate notturne, il cortisone, l’incaxxatura di non sentirmi ‘na favola -come invece affermavano di stare tante neomamme! – e nemmeno all’altezza del compito. e quindi leggevo. per fortuna mi bastava allungare dal letto la mano sul ripiano della fornitissima libreria di mio fratello. e scoprivo notte dopo notte gli autori da lui preferiti: Baudelaire, Pasolini, Stephen King, Hannah Arendt, Gautier e infine Verlaine. Del poeta francese lessi tutte le sue poesie. m’imbottivo di liriche, sensazionale metodo per lenire il dolore dell’anima. Viaggiavo con la fantasia sull’eco dei suoi soavi affreschi creati con parole leggiadre. e spesso mi addormentavo a luce ancora accesa, il libro scivolato di mano, accanto al cuscino. oggi la sar è dove deve stare, secondo me: a prender polvere in garage. impacchettata per benino, ma sempre reperibile perchè…non si sa mai.
Verlaine invece è traslocato nella mia libreria.
a buon diritto, aggiungo.
perchè un amico di carta così meglio non lasciarselo sfuggire, di momenti cupi la vita ne ha in serbo parecchio .
quindi meglio non farmi trovare impreparata.