Studiando come possano sopravvivere nello spazio altre forme di vita, tuttavia, potrebbe consentirci di risolvere buona parte di questi problemi. Una delle creature che sta aprendo la strada alla colonizzazione dello spazio, e sta facendo ben sperare nella sopravvivenza umana al di fuori della nostra atmosfera, è un piccolo verme, il Caenorhabditis elegans.
"Sicuramente i vermi non sono persone", spiega Nathaniel Szewczyk, autore della ricerca e scienziato della The University of Nottingham. "Nonostante questo, il C. elegans e l'essere umano hanno un genoma delle stesse dimensioni, e condividono circa il 50% dei loro geni l'uno con l'altro. La ragione più importante per studiare i vermi è che sono più veloci e più facili da studiare rispetto all'uomo".
Il Caenorhabditis elegans è un organismo modello per la ricerca scientifica. E' stato ampiamente studiato per comprendere l'origine del sesso, le dinamiche che regolano la durata della vita, e per aprire nuove possibilità nel campo delle nanotecnologie. E' stato anche il primo essere multicellulare il cui genoma sia mai stato sequenziato (1997-1998), e una colonia di C. elegans è sopravvissuta addirittura alla tristemente famosa esplosione dello Shuttle Columbia del 2003.
IL C. elegans si è anche dimostrato capace di sopravvivere e riprodursi nella microgravità della Stazione Spaziale Internazionale senza apparenti problemi di adattamento: dodici generazioni consecutive di questo verme si sono riprodotte e nutrite regolarmente per i sei mesi di permanenza a bordo della ISS.
Quattromila C. elegans sono stati trasportati a bordo della ISS e ospitati in un contenitore che potesse consentire al team scientifico di osservarli e gestirli a distanza da una postazione sulla Terra, senza che nessuno dovesse intervenire sul delicato ecosistema artificiale di questi vermi.Anche se il C. elegans è un organismo semplice da allevare e particolarmente resistente, era necessario ridurre a zero ogni intervento esterno che potesse alterare le misurazioni compiute durante il periodo di osservazione.
I ricercatori sono stati in grado di monitorare per tre mesi gli effetti della gravità ridotta sui corpi di 12 generazioni di C. elegans. Sulla ISS, la gravità è pari ad un decimo rispetto a quella sperimentabile sulla Terra, e l'esposizione a radiazioni cosmiche è 10 volte superiore. Sicuramente questi elementi hanno influito in qualche modo sull'organismo dei vermi, ma apparentemente non hanno provocato cambiamenti nel loro comportamento.
"I vermi a bordo della stazione sembravano normali e sani, sebbene presentassero adattamenti sviluppati per crescere nella stazione. Quando sono tornati sulla Terra, hanno avuto lo stesso periodo di adattamento, superato il quale sembravano sani e normali. Per esempio, alcuni dei vermi erano più suscettibili alle infezioni subito dopo il volo di rientro, ma il problema si è risolto naturalmente poco tempo dopo".
Il prossimo passo sarà quello di studiare la fattibilità (soprattutto economica) di una missione verso Marte o altri pianeti che possa trasportare dei campioni di organismi viventi in ambienti del tutto nuovi.
"Sarebbe bello mandare vermi verso Marte o altri pianeti" afferma Szewczyk. "La sfida principale, e l'obiettivo di questa ricerca, è di convincere i governi e le agenzie che si può e si deve fare. Dalla nostra prospettiva, la destinazione non è ciò che conta. Piuttosto, viaggiare oltre le fasce di Van Allen per tre-sei mesi è il vero obiettivo".
PETS IN SPACE? IT'S POSSIBLE