E’ una vita che boicotto in privato la Barilla, semplicemente perché trovo i suoi prodotti a dir poco deludenti, noiosi e oltretutto gravati dal sovrapprezzo delle insopportabili campagne dei mulini bianchi. Ma questi sono gusti personali che non mi sogno di condividere col signor Guido Barilla nella mia veste di consumatore che si esprime semplicemente col non comprare. Al contrario il Barilla Guido pretende di farmi conoscere le sue opinioni sulla famiglia e sulla società italiana legandole ai prodotti della sua azienda e alla relativa pubblicità.
Peggio per lui che chiudendo la porta a qualsiasi altro tipo di rapporti che non siano quelli tradizionali non aumenterà le vendite e rischia invece di perdere un vasto mercato di persone omosessuali o semplicemente infastidite da questi outing ideologici. Il problema non è infatti quello del target pubblicitario basato su improbabili famigliole che realizzano il loro sogno frollino: avere un target centrale non significa certo che devi sputare sulle altre aree potenziali di vendita, tanto che la stessa Barilla ci propone da un anno un ambiguo mugnaio single che offre biscotto subliminale a 360 gradi. Il problema è semmai che certe gaffes nascono su un altro terreno, su un brodo di coltura che nulla a che vedere con la comunicazione pubblicitaria e riguarda invece la centralità dell’azienda o della multinazionale vista ormai come emanatrice e regolatrice di valori al posto delle istituzioni e del pubblico dibattito.
La pretesa di mettere al servizio delle proprie idee e delle proprie arcaiche visioni non solo sugli omosessuali, ma anche sulle donne, il peso di farfalle, spaghettoni e macine da inzuppare nel latte, l’azienda insomma, l’immagine e il posizionamento commerciale del prodotto è consustanziale a questo triste spirito del tempo. Che va ben oltre le legittime opinioni personali del rampollo Barilla o le strategie per vendere di più attraverso l’ “educazione pubblicitaria”, ma è l’idea che il potere commerciale ed economico sia legittimato ad utilizzare il mercato come tribuna per le proprie Weltanschauung e che anzi sia il mercato stesso a deciderne il successo e i dividendi politici. Non a caso Guido Barilla non ha detto a me piace la famiglia tradizionale, ma “a noi”. Noi chi?
Non so se sia il caso di organizzare boicottaggi di frollini o di lanciare petizioni come ha fatto Dario Fo il quale per paradosso chiede che sia lo stesso Barilla a mettere nelle sue pubblicità esempi di famiglie diverse, giustificando in un certo senso la mercatizzazione delle libertà civili. Un mondo dove il pastaio Barilla faccia la destra e il mobiliere Ikea la sinistra non mi piace affatto, non fosse altro perché poi sullo sfruttamento e sul profitto sono sicuro che vadano d’amore e d’accordo: non vorrei vedere nel prossimo futuro un precario che fischietta contento davanti al vermicello mentre una voce suadente fa sapere che dove c’è Barilla c’è Cassa (integrazione).