Verniciatura[1]
Perfezione artificiosa,
sparsa superficialmente con uniformità su irregolarità di superficie,
a nascondere imperfezioni emerse dall’interno;
manifestazioni visibili di intimi timori del timore, e
bugie coreografate attorno a cui danziamo
per far girare la verità.
Una banconota malamente contraffatta
da cento dollari, ben tesa
per avvolgere un rotolo di biglietti da uno
falsi sorrisi amichevoli
che laminano la superficie del nostro odio
una calza di satin liscio e setoso
che tessiamo a coprire i piedi ruvidi
su cui andiamo danzando in giro la verità.
Verniciatura
questo laminato,
questa immacolata concezione concepita per resistere all’inferno
la fabbrichiamo per indossarla, per coprire le nostre tracce le nostre code
per coprire i furti che compiamo,
quando uccidiamo,
quando rendiamo falsa testimonianza nel buio
abisso sotto la superficie di quegli
strati di laminato ben poco aderenti:
non rubare,
non uccidere,
non dire falsa testimonianza.
Verniciatura
una tenda Marquise a mascherare maschere di pulizia e rinascita,
facciate che altro non sono se non
una maggior piacevole apparenza,
non più che un più attraente materiale di superficie
di bugie superficiali dal sottile rivestimento, che rivestono appena
chi veramente siamo e che s’annida sotto le menzogne
della purga e della rinascita dell’anima.
Verniciatura
questo intarsio di due, a ricoprire uno, sopra inserito
per dividere l’uno in due metà
che mai furono intese: un tu, un me,
un giusto, uno sbagliato, un nero, un bianco,
luce nera sintetizzata che emette
composti fluorescenti di oscurità artefatta,
a proiettare ombre ottenebrate
sotto cui nascondiamo i mali della nostra superficie.
Riverniciati
Noi siamo, manichini fabbricati,
modelli la cui superficie è una natura morta, abbigliati
con abiti monogrammati da vetrina,
facciate sotto cui sanguiniamo per negazioni di sangue,
avvolti in strati diafani di false verità
con cui celiamo la nostra vera essenza per apparire
più amorevoli nel nostro falso amore,
più tolleranti nella nostra tolleranza sintetica
più umani nella nostra umanità inumana
come appariamo falsamente essere
per mascherare quello che siamo diventati…
una banconota malamente contraffatta
da cento dollari, ben tesa
per avvolgere un rotolo di biglietti da uno
falsi sorrisi amichevoli
che laminano la superficie del nostro odio
una calza di satin liscio e setoso
che tessiamo a coprire i piedi ruvidi
su cui andiamo danzando in giro la verità…
Veneer
Articial perfection,
evenly spread superficially across surface irregularities,
concealing surfaced inner imperfections;
outward manifestations of inner fears of fear, and
choreographed lies we dance around
to spin around the truth.
An ill-fitted counterfeit
hundred dollars bill, stretched
to fit over a folded wad of ones
a forged friendly smile
laminated the surface of our hate
a smooth silky satin sock
we weave to cover rough feet
we dance around the truth upon.
Veneer
this laminate
this conceived hell-resistant immaculate conception
we fabricate to wear, to cover our trail to cover our tails
to cover when we steal,
when we kill,
when we bear false witness in the dark
abyss beneath the surface of those
loosely adherent layered laminates;
thou shalt not steal,
thou shalt not kill,
thou shalt not bear false witness.
Veneer
Marquise masquerading masks of cleansing and rebirth,
facades that are no more than
a more pleasing appearance,
no more than a more desirable surface material
of skim coat surface lies, thinly coating
who we really are lurking beneath the lies
of soul cleansing and rebirth
Veneer
this inlay of two, overlying one, added on top
to divide the one into two halves one
was never meant to be: a you, a me
a wrong, a right, a black, a white,
synthesized black light emitting
florescent composites of manufactured darkness,
casting unenlightened shadows
we hide our surface woes beneath.
Veneer’d
we are, manufactured mannequins,
still life surface paragons, dressed up
in monogrammed windows dressings,
facades beneath which we bleed sanguineous denials,
shrouded in diaphanous layers of artificial truths
we cover our true selves in to appear
more loving in our false love,
more tolerant in our synthetic tolerance
more human in our inhuman inhumanity
we falsely appear to be,
to cover over what we have become…
An ill-fitted counterfeit
hundred dollars bill, stretched
to fit over a folded wad of ones
a forged friendly smile
laminated the surface of our hate
a smooth silky satin sock
we weave to cover rough feet
we dance around the truth upon.
[1] Ho scelto di tradurre l’inglese Veneer, letteralmente “impiallacciatura, rivestimento, vernice, fig. apparenza superficiale”, con “verniciatura” nel senso di patina fittizia stesa sopra a nascondere le pecche. (N.d.T.)
(C) Neal Hall e Francesca Diano per la traduzione. RIPRODUZIONE RISERVATA