Ci sono stati industriali che, magari per amore di una stellina, si sono rovinati col cinema producendo fiaschi, altri finanziando imprese impossibili, altri ancora foraggiando le creazioni di inventori pazzi. Mio nonno, tanto per non andare troppo lontano, dopo una vita festosamente dissipata, sognava di investire il poco che gli era rimasto in un gran concerto alla Fenice tenuto da musicisti impropri, compreso quello che suonava l’eroica con il pettinino coperto di carta stagnola.
Chissà quale sogno visionario, quale desiderio di rivincita, quale affinità o che interesse a stringere con il regime un sodalizio di ferro – siamo in tempi favorevoli ai “patti” – ha spinto il patron del “Guido Veneziani Editore” gruppo “giovane e dinamico” che manda in edicola Vero, Top e Stop, a comprarsi quella gloriosa patacca chiamata Unità, salvando 25 giornalisti sui 56 naufraghi dello scorso agosto, anche grazie all’aiuto obtorto collo del Pd che si farà carico di 6 esuberi, come contributo simbolico al rilancio dell’occupazione dopo il Jobs Act.
Da tempo ho rinunciato alla preghiera laica del mattino secondo Hegel e sarà per quello che non mi è mancata, mentre negli anni ho rimpianto la volonterosa scampanellata militante della domenica mattina, come mi è spiaciuto non vederla più arrotolata nella tasca della tuta degli operai il Primo Maggio, che ormai è diventato il giorno del concertone dell’Expo e la festa della precarietà.
Ma negli anni ci saranno invece mancati i molti quattrini spesi per finanziarla e che avrebbero avuto miglior destinazione a fronte di impegno sempre più esangue, tiratura sempre più ridotta, vendite sempre più ridicole, direttori sempre più indifferenti all’informazione e alla circolazione delle idee, docilmente ostaggio più che del partito editore, di boria, di ambizione, di indole alla separatezza dal mondo reale che caratterizza quella casta che, grazie alla denuncia di quella partitica, presumeva di essere esentata dall’appartenenza a cerchie chiuse, nepotiste, privilegiate e assoggettate.
E dire che i fondi pubblici erogati in 24 anni al quotidiano fondato da Gramsci e affondato da sleali eredi, ammontano a 152 milioni di euro: una media di 6,3 milioni all’anno, oltre 500 mila euro al mese, 17 mila euro al giorno, a conferma della bonomia del puttaniere al governo, a un tempo demone e mecenate, che intanto dava una mano munifica all’Avanti di Lavitola, a Libero, al Nuovo Riformista, all’Avvenire, a Primorski Dnevnik, dove praticanti figli di papà si sono preparati a spiccare il volo verso più prestigiose redazioni. Ma anche a Famiglia Cristiana, Rho Settegiorni, Quaderni di Milano, Il Giornalino, Il Biellese. Per non dire della Padania il giornale della Lega che prima della recente chiusura ha puntualmente incassato contributi che, nell’arco di un decennio e fino al 2007, hanno superato anche i 4 milioni di euro l’anno, o di Europa, che posso vantarmi di non aver mai visto campeggiare in un’edicola, del quale conoscevo l’esistenza solo per via delle comparsate tv del suo smorto direttore, che dal 2003 al 2010 ha incamerato una media di circa 3 milioni l’anno (un milione a copia?), passando ai 2 e qualcosa del 2011, ai 1.183.113,76 del 2012 e ai comunque ingiustificati 717.301,81 del 2013.
Parliamo di imprese che hanno chiuso ingloriosamente i battenti non certo per il doveroso taglio dei contributi, ma per l’incapacità di vivere la contemporaneità di una informazione che ha cambiato modi, sistemi, tecnologie, pubblici di riferimento, mentre restano immutati il rapporto subalterno con il potere e la sottomissione a ricatti e lusinghe padronali, che si sa che in Italia non esiste editoria pura e i padroni sono sempre gli stessi si tratti di partiti o finanzieri o industriali o leader o tycoon o tutte le cose insieme.
E infatti i finanziamenti agli organi di partito erano l’ennesima truffa per aggirare un pronunciamento popolare, proprio come i rimborsi elettorali, come quelli per le fondazioni, i think tank, le riviste, le case editrici: sistemi indiretti di incasso dei nostri quattrini per foraggiare macchine burocratiche in modo da garantirne l’inutile sopravvivenza, per sostenere la propaganda perenne di vecchi e nuovi volti che si affacciavano. Come tante volte abbiamo avuto modo di scrivere qui https://ilsimplicissimus2.wordpress.com/partiti-soldi-fondazioni/
Ma nel caso dei giornali il burbanzoso rottamatore è disinteressato,e come potrebbe essere diversamente? L’appoggio della stampa cosiddetta indipendente l’ha già, quello delle aziende del vecchio protettore anche, insieme a lui, anche se ormai “obsoleto”, è partito alla carica alla conquista della Rai. Perché dovrebbe importargli l’appoggio di qualche samizdat cartaceo, quando lui e il governo comunicano in tempo reale tramite tweet, quando semmai è più interessato a imbavagliare l’informazione che a promuoverla?
Anzi, la sua ripulsa per il vecchio giornale del partito del quale altri ancor prima di lui hanno tradito mandato, testimonianza, tradizione, ha un valore simbolico, aiutare la cancellazione dei sistema di finanziamento pubblico dei partiti, non certo per sostituirlo con uno nuovo, virtuoso e saggio. Bensì per accreditare sempre di più il ricorso al sovvenzionamento privato diretto, non quello dei poveri cristi, dei due o tre tesserati, nemmeno quello delle sputtanate primarie, ma quelli sonanti o immateriali di iscritti alla sezione delle Cayman, di norcini di grido, di aziende riconoscenti, di corrotti impenitenti, lasciando che siano loro a finanziare i partiti e attribuendo alle differenze economiche la possibilità di tradursi direttamente in differenze di potere di influenza politica. Così che alla corruzione della legalità si aggiunge la corruzione della legittimità democratica. E all’informazione anche drogata si sostituisca il silenzio.