VERSI – La rubrica dedicata alla poesia
Nicola Alejandro Cunial, nato a Mendoza nel 1989, vive dove gli capita. Giovanissimo pubblica Grigio tipo settembre per Sbc edizioni (2011). Nel 2012 Pillole di carne cruda esce per La Gru, cui segue Carie di città (2013).
Oltre alle sue pubblicazioni, appare in riviste, siti e qualche antologia di premi letterari in cui è stato vincitore o finalista. Collabora con la rivista letteraria padovana «ConAltriMezzi» e con OggiTreviso.
Di recente, ha vinto il Poetry Slam di Acqua e di Luce a Monza. È lì che lo abbiamo incontrato e abbiamo conosciuto la sua verve, irriverente e autoironica, che non smentisce nemmeno questa intervista. Vice Presidente dell’associazione LIPS (Lega Italiana Poetry Slam), di cui avevamo già parlato con Alessandra Racca nel nostro spazio Versi, è molto attivo in ambito culturale per la promozione della realtà poetica orale e per la diffusione della poesia.
Durante la serata di Monza dello scorso settembre, tra il serio e il faceto, hai dichiarato che l’aver “fatto chimica” influisce sulla tua scrittura e sui temi che affronti. Penso anche a una poesia apparsa sul Censimento dei poeti, che hai inviato a Pordenonelegge, Vivo a vuoto, nella quale appaiono elementi fisici (fuoco, vuoto, “la mia gola […] tace ogni corda di volta in voltaggio”) e altri addirittura meccanici. Sembra quasi che ti ci scialli…
Hai ragione! E a essere sincero, è stata una cosa di cui mi sono accorto scrivendo: utilizzo molto accostamenti tra diverse realtà o situazioni attraverso un mezzo, una parola, che richiami la chimica o la fisica degli elementi. Credo sia una deformazione professionale: in effetti non sono bravo, per esempio, con la metrica – nel senso che non riesco a scrivere in modo naturale un sonetto – come invece potrebbe esserlo qualcuno che ha studiato al liceo classico. No, io ho fatto chimica e se devo scrivere di quello che vedo, percepisco o conosco, per farlo in maniera convinta devo attingere alle parole che sono insite nel mio bagaglio. Non si può fingere chi non si è nella scrittura, men che meno in poesia. Ecco perché viene fuori spesso il mio background scolastico. Dopotutto, è un periodo che ha avuto una certa prevalenza temporale nella mia vita. Ho venticinque anni e sei di questi li ho passati alle superiori. Difficile che non mi caratterizzasse in qualche modo. La stessa cosa è valsa per l’Università: in Pillole di carne cruda e in Carie di città si trovano infatti moltissime poesie a carattere sociale e l’aver studiato Scienze Politiche non è qualcosa di secondario. Ma la chimica è solo uno strumento, appunto, non è mai il fine delle mie poesie: i miei temi, a dirla tutto, sono forse banali e sicuramente già sentiti. La verità è che convivo con la paura che in letteratura si sia già detto tutto. Ecco perché mi impegno meno su ciò che voglio dire e molto invece sul come lo voglio trasmettere: adoro la poesia perché è soprattutto ricerca e sperimentalismo, almeno nel mio modo di viverla. Perciò anche se parlo di amore, morte, umanità e simili, in realtà cerco di trattare questi temi da angolazioni nuove ma soprattutto comunicandolo in forme inedite. Il mio prossimo libro, Il sosia zero, dimostrerà esattamente questo. Almeno spero.
Partiamo dall’inizio: quando hai iniziato a scrivere?
All’età di sei anni, in prima elementare. Forse qualche lettera dell’alfabeto la sapevo scrivere pure prima, ma non me lo ricordo.
Quali sono stati i motori propulsori nella tua scrittura poetica? In parole povere, quali sono state le letture fondamentali nella tua crescita?
È cominciato tutto quando è morto Alberto Dubito. La sua scomparsa per me è stato un brutto colpo, e dopo la sua morte ho cominciato a scrivere delle poesie (certo, anche prima ne avevo scritte, ma delle cose orrende, davvero). Quasi che il vuoto lasciato da lui avesse assunto le forme di un verso, mi resi conto che quello che stavo scrivendo aveva una certa validità. Poi è arrivato Erravamo giovani stranieri e lì è accaduto qualcosa di strano: anche se non avevo mai letto le poesie di Alberto, molti dei nostri versi combaciavano. Alcuni erano addirittura così simili da rasentare l’uguaglianza. A quel punto mi sono deciso ad approfondire questa azione che fino ad allora non avevo compiuto, l’azione di fare poesia. Ho perciò letto e riletto molti libri di poesia, come attualmente faccio. E più ne leggo, più apprendo e, spero, più miglioro. Tra i libri che mi hanno lasciato senza dubbio di più, devo annoverare sicuramente: Erravamo giovani stranieri di Alberto Dubito; Lai di Lello Voce; Ossa Carne di Dome Bulfaro; Tutte le poesie di Vladimir Majakowskij; Mikrokosmos di Edoardo Sanguineti. Queste sono in un qualche modo i miei vangeli di poesia.
In Pillole di carne cruda i temi che affronti sono moltissimi: disprezzo verso la propria generazione, amarezza verso la società contemporanea, senso di non essere compreso dagli altri… per fortuna non manca una dose di auto ironia, troppo spesso inesistente tra chi compone versi. Vuoi parlarci di questo libro?
Pillole di carne cruda è un testo a cui sono legato per l’entusiasmo con cui è stato scritto. Credo si possa percepire in qualche modo, leggendolo. La raccolta spazia infatti tra il disprezzo ma anche il perdono e in qualche caso la giustificazione per la mia generazione, divisa tra chi resta e chi se ne va, e uniti dal dubbio se la scelta in questione, indipendentemente da quella presa, sia quella giusta o meno.
L’incomprensione è un’altra tematica, ma non riguarda me precisamente: la questione è l’incapacità di comprendere. Nella società odierna, infatti, la comunicazione è diventata veloce e sommaria, con la conseguenza che, spesso, si viene interpretati piuttosto che capiti. E l’interpretazione è uno dei mali della comunicazione oggi: se qualcuno prova a trasmettere un concetto, con i sistemi attuali di comprensione saranno più le volte in cui quel concetto non verrà recepito che il contrario. Questo perché le persone oramai tendono a leggere un testo o ascoltare un discorso attraverso le chiavi di interpretazione che gli sono proprie, a scanso invece di una comprensione che potrebbe essere soltanto letterale e priva del rischio di intendere male quello che ci viene detto. Credo che l’incomprensione stia diventando genetica nella nostra società. E la cosa un po’ mi spaventa.
Più in generale, quindi, Pillole di carne cruda è un lavoro che nasce dalle mie paure per crescere poi nei versi affinché si instilli il dubbio nelle persone che lo leggono.
Riguardo l’autoironia, rischio di ripetermi. Nel senso che attingendo appunto a ciò che conosco ma soprattutto scrivendolo io stesso, non riesco a non lasciare tracce della mia personalità. Ed essendo piuttosto autoironico e cinico in certi casi, ecco che quello che si legge è un mio personale compendio su come vedo e leggo, attraverso i miei schemi, ciò che i miei sensi percepiscono.
Quali sono i tuoi progetti futuri?
Se si intende in ambito poetico, allora il mio futuro prevede questo: Il sosia zero. Questa silloge uscirà a marzo 2015 per il marchio Ümlaut, di Edizioni La Gru e sarà la terza e ultima parte della cosiddetta trilogia dell’æssenza composta appunto da Pillole di carne cruda e Carie di città. Il sosia zero sarà un’opera nuova, assolutamente inedita nel mondo della poesia, frutto di idee di ricerca e di un grande sostegno da parte di uno dei miei maestri che è Dome Bulfaro. Intendo cercare di portare il libro in tutte le piazze e librerie che avranno la volontà di ospitarli, insieme a uno spettacolo di spoken music che sto preparando con moltissima calma insieme al duo Doppia Frequenza. Riguardo poi alle pubblicazioni, dopo il sosia zero intendo prendermi una lunghissima pausa: questo infatti sarà l’ultimo titolo poetico che penso di pubblicare da qui ad almeno cinque anni, tempo nel quale mi dedicherò ad altre ricerche per tornare con qualcosa di ancora più forte ma al momento a uno stadio troppo primitivo di idea perché possa parlarne.
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