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Verso il Makalu

Creato il 17 dicembre 2012 da Cren

  

Verso il Makalu
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Verso il Makalu
Verso il Makalu


Nepal poco frequentato, lontano dalla comoda Kathmandu quello in cui è andato Gianni. Posti belli: alte colline con ancora un pò di alberi, villaggi e mercati; poi, salendo, pietraie e ghiacciai e in fondo il Makalu (m.8.462), il grande Nero, la quarta montagna più alta del mondo ed una delle più difficili da scalare. Sotto vivono Raj, Limbu, Sherpa (contadini e allevatori) e, nei villaggi a valle, i soliti Chetri e Brahmini (commercianti e funzionari statali) ciò per dire quanto sia variegato anche questo piccolo spicchio di Nepal. Ad oriente, malgrado come in ogni zona rurale i servizi siano essenziali,  non si vive male. L’acqua c’è, mais, riso, miglio e cardamomo assicurano redditi dignitosi. Non distante iniziano le piantagione di tea, importato da Darjeeling dagli inglesi, e, da qualche, anno il nuovo business del caffè. Il trekking è lungo una decina di giorni e l’arrampicata dopo Yak Karka (un pascolo estivo degli yak) a 3500 metri.

Viaggio concluso e in parte metabolizzato, doloretti a parte. Trekking  piuttosto impegnativo. Il distretto del Sankhuwa Saba (Nord Est del Nepal) e` remoto, fuori da quello che consieriamo moderno, anche in Nepal, quasi sconosciuto spesso agli stessi  operatori di Kathmandu. Arrivarci via terra e`gia` una piccola impresa viaggiando su bus scalcinati (benedetta in questo caso l`esser minuti) i bus sembrano costruiti in scala ridotta e per giunta super affollati di merci e persone.

Dopo una notte e quasi un`intera giornata l`arrivo a Kandbari Bazar, le giunture sono già <incriccate> quando si deve iniziare a camminare sul sentiero un pò sconnesso ed unica strada di comunicazione nella valle. La mattina (non c`e` la jeep, o meglio dovrebbero esser con me altre quindici persone, altrimenti il mezzo non parte) inizia la scarpinata. Lunga, estenuante,  sentieri che tagliano la nuova strada polverosa e a tornanti. Le informazioni che ci danno (sono con la mia guida-portatore abituale, anche lui alla prima esperienza in quest`area) sono abbastanza prive di attendibilita` circa tempi e distanze, come sempre in montagna il tremine pioù usato e “nahik) (vicino) anche quando mancano ore.

Uno sguardo alla mia carta d’identità dovrebbe essere data, prima d’iniziare questi viaggi. del resto, come mi definisce l` Enrico, sono veramente uno stagionato barricadero. La prima giornata sembra non debba mai finire, magari, chissa`, sara` meglio in seguito. Invece i sentieri  sono sempre durissimi e pericolosi, pietrame sconnesso e pendenze da incubo, una disattenzione o una sfigata e sarebbero c…i amari. Ho gia` vissuto una tale disdetta, quindi il freno e` perennemente tirato, sopratutto in discesa. Questa e` la catena del Mahabharata, le colline che attraversano orizzontalmente il Nepal, salgono fino a raggiungere i quattromila metri di quota;  a Sud il Terai, grande pianura Gangetica, a Nord l`Himalaya.

L’obbietivo  sarebbe il Baruntse National Park e il Makalu Base Camp,a circa cinquemila metri di altitudine (costo per entrarci circa euro 150).  Pero` dopo Tashi Gaom (letteralmente Villaggio di Tashi) sarebbe troppo complicato trovare possibilita` di alloggio e approvvigionamento alimentare; anche i custodi di yak sono ormai tornati a quote piu` umane,  l`inverno e` prossimo e nuvole piene di neve incombono , non ho nessuna voglia di crearmi grattacapi evitabili. Poco male, personalmente ho ritenuto la vista delle cime solo una delle componenti del viaggio, nemmeno la piu` importante. Ho sempre preferito le fasi di approccio. Attraversare le zone abitate, villaggi e case isolate , percorrendo sentieri terribili per le disabituate gambe occidentali (gli autoctoni ci si muovono carichi e senza problemi). Nemmeno stavolta resto deluso, non sono certo mancati momenti di forte emozione.

Giorni  estenuanti, regione remota e poco visitata il Baruntse, siamo in 260 trekkers ad essere venuti quest`anno,  e praticamente tutti con gruppo attrezzato e organizzzato, pochi a tentare di utilizzare servizi locali. Strutture carenti e a volte totalmente assenti (un cesso puo` essere un lusso), diverso rispetto ad altre Aree Himalayane piu` famose. Comunque, dodici di giorni di continui saliscendi, con pochi metri per rifiatare in questo territorio schiacciato a fisarmonica.

 Campi di kodo (miglio), la foresta, le piante da cui raccogliere olaichi, il cardamomo nero, risorsa locale. Ogni specie di cuccioli a frignare, quelli umani appena svezzati  e smocciolanti a chiedere <baloon> o <chocolat>.  Poi le serate passate sorseggiando la <tungba> (miglio fermentato, acidulo,  con l`aggiunta di acqua calda e da succhiare con la cannuccia). La cena  diventa una delizia da gran gourmet.  Per finire un ultimo bicchiere di raksi (alcool) artigianale prima del sacco a pelo per il desiderato riposo. Insomma, non male, ottimo  per acquistare autostima. Esperienze ed emozioni per il mio mestiere di organizzatore dato che  e` da sempre mia intenzione suggerire e programmare viaggi e avventure personalmente provati.

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