Editoriale del numero XXV (1-2012)
Nell’assumere la direzione di “Eurasia”, che le Edizioni all’insegna del Veltro pubblicano dal 2004, rivolgo un ringraziamento ai redattori, ai collaboratori ed a tutti coloro – in particolare il CPE – che finora hanno in vario modo sostenuto la rivista; esprimo la gratitudine mia e della redazione a Tiberio Graziani per averla portata ad un livello qualitativo che viene unanimemente riconosciuto come eccellente; ringrazio infine Alessandra Colla per aver generosamente accettato la carica di responsabile legale in questa nuova fase della vita di “Eurasia”.
Un memore e commosso pensiero va a Carlo Terracciano, l’intellettuale militante che mi esortò a pubblicare una rassegna di geopolitica in un’epoca in cui tale disciplina, dopo essere stata considerata con sospetto perché associata al nome sulfureo di Karl Haushofer (e, in Italia, alla rivista fascista “Geopolitica”), veniva riproposta al pubblico italiano da un gruppo redazionale di orientamento atlantista che aveva scelto di cavalcare la tigre della “riscoperta” della geopolitica.
A tale sfida “Eurasia” ha risposto fornendo ai propri lettori le analisi idonee ad inquadrare le relazioni tra gli Stati e ad approfondire il significato delle dottrine degli attori internazionali, sforzandosi al contempo di prospettare scenari alternativi imperniati sull’idea di sovranità. L’adozione dei criteri interpretativi geopolitici, contrastando efficacemente i dogmi ideologici funzionali al dominio imperialista, ha fatto sì che intorno alla rivista si formasse una vasta rete di qualificati collaboratori di varia origine nazionale, politica, culturale e confessionale, i quali hanno avvertito l’esigenza di sostituire le vecchie e desuete mappe concettuali con strumenti analitici adeguati ad una situazione storica nuova ed in continuo cambiamento.
“Eurasia” si è dunque proposta di essere, come recita il suo sottotitolo, una “rivista di studi geopolitici”, vale a dire un laboratorio di idee nel quale ci si propone di procedere secondo criteri oggettivi e metodi d’indagine lato sensu “scientifici”. Ma ciò non deve far pensare che la ragion d’essere di questa rivista si esaurisca in un ozioso esercizio di analisi ispirato ad un’illusoria neutralità: la scelta stessa di chiamarsi “Eurasia” definisce il punto d’osservazione da cui questa comunità redazionale considera ed esamina gli eventi mondiali, nonché l’obiettivo ideale verso cui si dirigono i suoi sforzi teorici.
Sarebbe facile obiettare che il termine “Eurasia” non corrisponde ad un concetto univoco e condiviso. Tuttavia, se bisogna precisare il termine in questione sulla base della definizione di continente generalmente accettata, allora i confini naturali dell’Eurasia sono quelli segnati dai mari e dagli oceani che la circondano: l’Artico, il Pacifico, l’Indiano e l’Atlantico. A questa unità geografica corrisponde, al di là di una rigogliosa molteplicità di forme, una essenziale unità eurasiatica, che è stata colta da studiosi come Marcel Mauss, secondo il quale “dalla Corea alla Bretagna esiste un’unica storia, quella del continente eurasiatico”; o come Mircea Eliade, assertore della “unità fondamentale non solo dell’Europa, ma di tutta l’ecumene che si estende dal Portogallo alla Cina e dalla Scandinavia a Ceylon”; o come Giuseppe Tucci, che riassumeva tale concetto dicendo: “Io non parlo mai di Europa e di Asia, ma di Eurasia”.
Nella prospettiva di un progetto geopolitico, l’unità eurasiatica può essere pensata come un’alleanza dei grandi spazi in cui il continente si articola: lo spazio russo, quello estremo-orientale, quello indiano, quello europeo, quello dell’Islam nordafricano e vicino-orientale. Alcuni di questi grandi spazi sono già oggi polarizzati intorno ad un soggetto politico sovrano (è il caso della Cina, dell’India, della Russia), mentre altri (la fascia islamica del Mediterraneo, l’Europa) sono ancora privi, del tutto o in parte, di unità e di sovranità politica e militare.
La Russia, in particolare, sta sviluppando un’azione aggregatrice per restaurare in parte quell’unità che si è disgregata col crollo dell’URSS. Il 1 gennaio 2012, infatti, è entrato ufficialmente in vigore l’accordo siglato da Russia, Bielorussia e Kazakhstan per l’istituzione di un’unione doganale preliminare all’unificazione dell’economia delle tre repubbliche. In un articolo pubblicato dal quotidiano “Izvestia” che ha suscitato l’allarme dei commentatori occidentalisti, Vladimir Putin ha definito lo Spazio Economico Unico “un traguardo di portata storica non solo per i tre paesi, ma anche per tutti gli Stati postsovietici”. Nel caso di una sua rielezione alla guida della Russia, Putin prospetta il passaggio di questi tre paesi ad una fase ulteriore di coordinamento e quindi alla nascita del nucleo di una Unione Eurasiatica, alla quale dovrebbero successivamente aderire Kirghizistan, Tagikistan, Uzbekistan, Armenia, Moldova e Ucraina. L’Unione Eurasiatica rivitalizzerebbe così il progetto della Comunità Economica Eurasiatica (EurAsEC) formulato nel 2000 dagli Stati della CSI e rinsalderebbe sotto il profilo economico l’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (la “NATO dell’Est”) istituita nel 2002.
Questo progetto d’integrazione dello spazio postsovietico, che assegna all’Unione Eurasiatica un ruolo di efficace connessione tra l’Europa e l’Estremo Oriente, trova sostegno sia in Russia sia in altri paesi della CSI. “Una grande parte della popolazione delle repubbliche della CSI – ha commentato il politologo Sergej Cernjakhovskij – si pronuncia per varie forme di ripristino dell’Unione Sovietica. La libera circolazione dei capitali sarà interessante anche per gli imprenditori. Tra le maggiori forze politiche l’idea è vicina ai comunisti, ai nazionalisti, ai conservatori e ad una parte dei liberali. Ho l’impressione che Putin farà di questo progetto il compito centrale della sua presidenza. Anche se riuscirà ad unire in tal modo 4-5 repubbliche, si garantirà un posto nella storia. Putin desidera realizzare un’impresa di grande rilevanza”.
“Eurasia”, che fin dalla sua nascita ha guardato con particolare attenzione alla funzione geopolitica della Russia, inaugura la sua nuova serie ritornando ad occuparsi di questo tema fondamentale.
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