Palazzo Chigi
Con le annunciate dimissioni del Governo Monti, la vita politica del Paese sta correndo a rotta di collo verso nuove elezioni politiche, che secondo gli ultimi aggiornamenti dovrebbero tenersi alla metà di febbraio in concomitanza con le consultazioni regionali in Lombardia, Molise e - almeno stando alle ultime versioni dei fatti - Lazio.
Con le primarie del centrosinstra, le parlamentarie del M5S e il ritorno sulla scena di Silvio Berlsuconi si è ufficialmente aperta la campagna elettorale per le politiche 2013, ma mai come questa volta, malgrado i tempi strettissimi, vi è confusione e incertezza nel panorama politico del Paese, un'incertezza che non riguarda solo i programmi e le politiche che le varie coalizioni propongono, ma persino il perimetro - e in taluni casi l'esistenza stessa - di tali coalizioni.
Diventa quindi un obbligo offrire una panoramica su quello che è l'arco politico del Paese, pur nella consapevolezza che la variabilità e la fluidità della situazione contingente potrebbero apportare notevoli variazioni allo scenario attuale in tempi anche decisamente brevi.
Paradossalmente, la formazione che si è affacciata per ultima nel panorama politico del Paese è anche quella che appare più avanti nel cammino di avvicinamento alle elezioni politiche: rifiutando qualsiasi alleanza, infatti, il MoVimento 5 Stelle non deve affrontare le inevitabili fasi di contrattazione nella fase di stesura del programma, e attraverso le parlamentarie si trova in una buona situazione anche per quanto riguarda la composizione delle liste elettorali.
Da sottolineare, inoltre, il fatto che il pieno controllo decisionale che Grillo ha sul partito, che spesso costituisce un handicap per la vita democratica della formazione, in questo caso consente una rapida definizione di un programma elettorale e politico, senza contrattazioni interne e senza ripartizione cencelliana delle idee e dei provvedimenti.
I maggiori pericoli, in questa fase, per la formazione grillina riguardano gli squassamenti interni al partito da parte del gruppo dei cosiddetti ribelli alla gestione padronale di Grillo, uniti alla la scarsa trasparenza delle parlamentarie che può lasciare adito a complicazioni e strascichi al momento della reale stesura delle liste.
Da un punto di vista di mera preparazione all'appuntamento elettorale la coalizione di centrosinistra Italia Bene Comune è grosso modo nella stessa situazione del MoVimento 5 Stelle. Le primarie per la composizione delle liste parlamentari si terranno a fine anno per i due principali partiti della coalizione, PD e SEL, e in più si sono svolte tra novembre e dicembre le primarie per la scelta del candidato premier.
Ciò che pone, a livello globale, il centrosinistra più indietro del MoVimento 5 Stelle riguarda la composizione dell'alleanza e di conseguenza il programma. Sicuramente IBC sarà composta da PD, SEL, PSI e una lista centrista guidata da Tabacci, ma vi sono buone probabilità di un ingresso degli scissionisti dell'IdV capitanati da Donadi, e rimangono ancora aperte le possibilità di una lista civica composta da esponenti della società civile.
In termini di programma, ad oggi si è andati poco oltre una generica carta di intenti; in particolare, gli attriti tra PD e SEL sul proseguimento della cosiddetta Agenda Monti (che altro non è che il rispetto degli impegni internazionali assunti dall'Italia) sono ad oggi il tema dirimente sulla stesura del programma de centrosinistra, e questo naturalmente senza contare le condizioni che le forze minori della coalizione intenderanno porre in cambio del loro sostegno.
Uscendo da M5S e IBC, il caos.
A sinistra, si è assistito negli ultimi giorni al battesimo della lista arancione, battezzata da De Magistris a Napoli come movimento di espressione delle istanze della società civile ma che all'atto pratico - soprattutto per via del coinvolgimento di Ingroia come possibile candidato alla Presidenza del Consiglio - presenta numerose analogie con l'IdV delle origini, del tempo dell'entrata in politica di Di Pietro.
Non è chiaro ad oggi quale sia il potenziale attrattivo di questa nuova lista, se sarà in grado di raccogliere l'adesione delle forze della cosiddetta sinistra radicale unitamente a quella parte di IdV rimasta fedele a Di Pietro, né se tali adesioni si manifesteranno con la nascita di una nuova formazione oppure come una federazione di movimenti.
Spostando l'attenzione verso il centro e la destra dello schieramento politico, invece, emerge una situazione estremamente volatile, un rebus di formazioni e movimenti anche effimeri nell'attesa che Mario Monti sciolga la riserva sulla propria candidatura alle elezioni politiche e sulle modalità in cui questa eventualità potrà verificarsi.
Non è infatti un mistero che la presenza o l'assenza di Monti sarà importantissima nella determinazione del prossimo Parlamento proprio in virtù del suo peso elettorale e soprattutto delle differenti divisioni a cui costringerebbe il centro e il centrodestra in virtù delle sue scelte.
Anche tralasciando l'ipotesi lanciata da Berlusconi - e respinta da tutti gli attori in causa, Monti compreso - di un Professore leader di uno schieramento che vada da La Destra di Storace all'UdC passando per la Lega Nord, sono diversi gli scenari in cui centro e centrodestra possono scomporsi e ricomporsi in funzione delle scelte dell'attuale Presidente del Consiglio.
Se Monti non si candida, allora diventa probabile uno scenario in cui il centro verrà marginalizzato - perdendo tra l'altro l'ApI che tornerà con il centrosinistra - dinanzi a IBC da un lato e la rinata coalizione PdL-Lega dall'altro, quest'ultima sotto la guida di Silvio Berlusconi. Si tratta della riproposizione delle elezioni 2008, sia pure con numeri e sondaggi altamente differenti rispetto a cinque anni fa.
In questo caso il Professore potrebbe intervenire come deus ex machina in caso nessuna coalizione riuscisse a conseguire la maggioranza dei seggi, oppure essere disponibile per ruolo istituzionali - primo tra tutti la Presidenza della Repubblica.
Se invece Monti dovesse annunciare la propria candidatura, sarà importante capire se accetterà o meno l'appoggio di Berlusconi. In caso di risposta affermativa, rispetto allo scenario di centrodestra allargato auspicato proprio dal Cavaliere resterebbe fuori solo la Lega, che vedendosi isolata potrebbe ancora una volta sacrificare le proprie idee alla convenienza di appartenere ad una coalizione elettorale a quel punto molto competitiva.
Dal punto di vista elettorale un simile cartello perderebbe tutte le simpatie degli anti-montiani di destra, che convergerebbero sulla Lega se questa decidesse di non essere della partita o resterebbero senza rappresentanza in caso contrario, finendo per affidarsi, come evidenziano i flussi elettorali, con ogni probabilità al MoVimento 5 Stelle o agli spin-off antimontiani fuoriusciti dal PdL targati Crosetto o La Russa.
Da un punto di vista invece politico una coalizione di questo genere, pur ricalcando in buona parte la CdL del periodo 2001-2006, sarebbe invece più simile all'esperienza dell'Unione, estremamente variegata per posizioni e ideologie, come dimostrano gli attuali atteggiamenti di gradimento nei confronti dell'esecutivo Monti.
Il caso in cui Monti, candidandosi, prendesse invece espressamente le distanze da Berlusconi sarebbe il più deleterio per il Cavaliere ed il PdL tutto. In quel caso, infatti, si avrebbe una coalizione centrista con Monti come riferimento formata da UdC, FLI, ApI e una nutrita schiera di fuoriusciti dal PdL, capitanati da Frattini e probabilmente Pisanu. A destra, invece, se Berlusconi prenderà le redini del partito scendendo personalmente in campo è possibile che la Lega ne rifiuti le profferte di alleanza, mentre se sarà un altro - Afano? - il candidato premier vi sarà un polo di destra formato dai leghisti, da quanto resta del PdL e probabilmente dalla destra di Storace.
In tutte queste situazioni, ragionando con la mera validità dei numeri, il centrosinistra è oggi la coalizione favorita per la vittoria finale, anche se questo, a causa della legge elettorale, può non significare il raggiungimento di una maggioranza sufficiente per governare il Paese.
Tuttavia, come lo stesso Berlusconi ha già ampiamente dimostrato nel 2006, i numeri e i sondaggi contano ben poco quando si possiede la potenza di fuoco mediatica del Cavaliere...