Credit: NASA/JPL-Caltech/JAXA/ESA
La sonda della NASA Dawn ormai giunta in orbita intono a Cerere, ha studiato Vesta per più di un anno, dal 3 maggio 2011 al 4 settembre 2012, cambiandone radicalmente la nostra visione. Come per Cerere, infatti, fino a poco tempo fa le migliori conoscenze arrivavano dalle immagini del telescopio spaziale Hubble.
Vesta ripreso dal telescopio spaziale Hubble tra il 28 novembre ed il 1 dicembre 1994
Credit: NASA/STScI/Georgia Southern University
Visto da fuori, Vesto sembra il tipico asteroide ma guardando più internamente, si è scoperto che ha un passato da pianeta mancato.
La sua forma è piuttosto irregolare, molto diversa dai quasi sferici Cerere, Plutone, Haumea, Makemake e Eris.
Il reportage fotografico di Dawn, ha mostrato che l'emisfero sud è caratterizzato da due enormi impatti. La collisione più antica formò il cratere Veneneia, circa 2 miliardi di anni fa, che con un diametro di 395 chilometri, copre quasi tre quarti del diametro dell'equatore di Vesta. Quasi un miliardo di anni dopo, un secondo impatto formò il grande cratere Rheasilvia, di 505 chilometri, che si estende per il 90% del diametro dell'asteroide ed è anche uno dei più grandi crateri del Sistema Solare. L'alta montagna di 22 chilometri al centro e le profonde scanalature vicino all'equatore, raccontano la furia di quell'evento.
Vesta - mappa topografica dei due grandi bacini da impatto, Venenia e Rheasilvia
Credit: NASA/JPL-Caltech/UCLA/MPS/DLR/IDA/PSI
Il materiale espulso andò a formare una nuova classe di asteroidi, nota come " vestoidi", che tutt'ora attraversano l'orbita del nostro pianeta e cadono a terra come meteoriti. Oggi ne possediamo oltre 200 campioni.
Uno degli obiettivi della missione è stato proprio confermare la relazione tra Vesta e le tre classi di meteoriti: Howarditi, Eucriti e Diogeniti, conosciuti anche con l'acronimo HED.
Vesta - distribuzione dei minerali. Il rosso indica i diogeniti, un materiale formatosi attraverso processi magmatici profondi nella crosta; in verde il howardite, una roccia di superficie composta da materiali diversi, scavati, espulsi e mescolati da impatti meteorici; in blu l'eucrite, una roccia formata nella crosta di Vesta ma non così in profondità come la diogenite. Le aree gialle sono regioni con diogeniti e howarditi. Le zone gialle e rosse hanno grandi quantità di diogeniti.
Credit: NASA/JPL-Caltech/UCLA/ASI/INAF
Ma ciò che distingue veramente Vesta dalle altre rocce spaziali sono le sue caratteristiche interne.
Dawn ha dimostrato che ha una struttura a cipolla, simile a quella della Terra, che comprende un nucleo di ferro e nichel, un mantello ed una crosta. Circa 4,6 miliardi di anni fa, quindi, Vesta deve essere stato un corpo caldo e fuso: i materiali pesanti come il ferro, affondarono verso l'interno, mentre gli elementi più leggeri si distribuirono più in superficie.
"Partiamo dal presupposto che Vesta aveva iniziato a svilupparsi in un pianeta. Se fosse riuscito ad accumulare sempre più materiale, crescendo ulteriormente, forse ora sarebbe il quinto pianeta interno accanto a Mercurio, Venere, Terra e Marte", aveva detto Andreas Nathues del Max Planck Institute for Solar System Research. Ma Giove, che si stava formando nello stesso periodo, impedì tale evoluzione.
L'idea è nata quando le immagini inviate dalla sonda Dawn hanno mostrato il vasto sistema di depressioni che circonda la regione equatoriale: la più grande, chiamata Divalia Fossa, supera la dimensione del Grand Canyon. Si estende per 465 chilometri di lunghezza e 22 chilometri di larghezza, per 5 chilometri di profondità. Una scala ed un tipo di frattura che può essere spiegato solo da una struttura interna complessa e differenziata.
Credit: NASA/JPL-Caltech/UCLA/MPS/DLR/IDA
Tuttavia, nonostante Dawn abbia raccolto una grande quantità di dati, l'interno di Vesta risulta ancora problematico.
"Ci sono molte indicazioni che la crosta esterna è molto spessa", aveva aggiunto Nathues. Secondo le stime, potrebbe arrivare a misurare tra i 30 e gli 80 chilometri, più dell'11% del raggio dell'intero corpo, uno spessore simile a quello della crosta terrestre che, tuttavia, in proporzione è molto più grande.
Ne sono prova i due grandi crateri dell'emisfero sud già nominati, dove, nonostante la loro profondità, i ricercatori non hanno rilevato alcun segno di olivina, un minerale che generalmente si trova nel mantello roccioso interno. Gli impatti sembrano, infatti, aver graffiato la crosta, senza esporre gli strati sottostanti. Dall'altra parte però i diogeniti, i meteoriti del gruppo HED che dovrebbero provenire dal mantello di Vesta, possiedono notevoli quantità di olivina, che è un materiale molto importante anche nel mantello superiore terrestre.
L'olivina, però, è stata trovata nell'emisfero settentrionale e ciò potrebbe indicare che Vesta subì solo una parziale fusione che creò sacche concentrate di questo minerale, piuttosto che una distribuzione globale. O, forse, il fondo dei crateri nell'emisfero sud è stato ricoperto da altro materiale che ha impedito a Dawn di identificare l'olivia. In ogni caso, Vesta deve aver vissuto sicuramente una storia evolutiva molto complessa.
Uno sguardo più dettagliato, rivela che la sua superficie è chiaramente diversa dalla maggior parte delle altre rocce che popolano la fascia degli asteroidi.
Questi corpi, che gli scienziati chiamano " primitivi", sono generalmente caratterizzati da una certa uniformità, tutto il contrario di Vesta.
Ci sono regioni, sulla superficie dell'asteroide, che riflettono la luce in modo più efficiente delle neve, vicino ad aree nere come la fuliggine. Nelle immagini a falsi colori che rappresentano la riflettività della superficie a diverse lunghezze d'onda, Vesta appare iridescente con una grande varietà di differenti minerali.
"La geologia estremamente varia della superficie di Vesta in effetti assomiglia più a quella di un pianeta", aveva detto Nathues.
Credit: NASA/JPL-Caltech/UCLA/MPS/DLR/IDA/PSI
Particolarmente suggestivo è il materiale scuro che si trova ai margini del vecchio grande bacino Veneneia ed all'interno di altri crateri.
Materiale scuro del cratere Cornelia, Vesta.
Credit: NASA/JPL-Caltech/UCLA/MPS/DLR/IDA
Lo spettrometro VIR di Dawn aveva suggerito che, non solo è ricco di carbonio, ma contiene serpentino, un gruppo di minerali comuni in rocce metamorfiche femiche e ultrafemiche (cioè, ricche di ferro e magnesio).
Tuttavia, poiché alle alte temperature che devono aver caratterizzato l'infanzia di Vesta, tale materiale non si sarebbe potuto formare in loco, gli scienziati ritengono che probabilmente non è indigeno ma è arrivato dall'esterno, magari proprio con il grande impatto che generò Veneneia.
In generale, molti materiali sulla superficie sembrano estranei a Vesta, come anche i minerali idrati, associati ad i terreni più anziani. Questi per formarsi, devono aver interagito con l'acqua ma Vesta è troppo caldo per l'acqua allo stato liquido. Ed ecco che ancora una volta arrivano in aiuto i meteoriti. Gli Howarditi presentano infatti alcuni componenti interessanti, come la condrite carbonacea. Un minerale ricco di acqua e tracce di materiale organico che sarebbe arrivato su Vesta, consegnato dagli impatti con altre rocce provenienti da regioni ancora più remote del Sistema Solare.
Così, è possibile che il corpo impattatore che generò il cratere Veneneia, fosse ricco di materiali carboniosi ed idrati. La collisione, che sarebbe avvenuta lentamente, tipo 2 chilometri al secondo, sarebbe riuscita a consegnare molti nuovi materiali al proto-pianeta. Più tardi, la formazione del cratere Rheasilvia, spazzò via metà del bacino Veneneia, coprendo la superficie con un materiale più brillante. Oppure, il materiale scuro potrebbe essere stato consegnato da molti eventi più piccoli. D'altra parte, le più alte concentrazioni sono in luoghi in cui è stata esposta la vecchia superficie, luoghi sfuggiti agli impatti successivi.
I minerali idrati sarebbero responsabili anche dell'idrogeno rilevato da Dawn intorno all'equatore, insieme ad altri materiali volatili. L'ipotesi più accreditata è che questi, intrappolati sotto forma di ghiaccio o gas nelle rocce spaziali, sarebbero stati rilasciati dal calore durante gli impatti.
Questo è un punto davvero intrigante per gli scienziati che desiderano scoprire quali sostanze erano presenti al momento della nascita del nostro Sistema Solare, da dove arrivavano e come si ridistribuirono. Anche se Vesta è solo un piccolo corpo, il fatto che, in un certo senso, sia rimasto bloccato in una fase iniziale di formazione planetaria, conservando le condizioni di 4,6 miliardi di anni fa, offre una buona finestra sul passato.
Se volete rivivere l'emozione con la sonda Dawn, la NASA ha predisposto un tour virtuale, dove oltre alle immagini 2D e 3D (compatibili con le stampanti 3D) sono disponibili anche molte altre informazioni geochimiche sull'asteroide.