Il testo che viene proposto risale alla seconda metà dell’800; contiene termini, strutture verbali, costruzioni del periodo molto arcaici, se li confrontiamo col modo di scrivere e parlare del XXI secolo.
Per renderlo più comprensibile ai lettori moderni è stato fatto un lavoro quasi di traduzione, sperando che tuttavia lo spirito originario dell’opera sia rimasto inalterato.
Pasquale Borrelli, uomo di tendenze politiche liberali, per cui fu costretto all’esilio, fu tra i massimi autori di filologia moderna; egli, nella sua opera “Principi della scienza etimologica”, parlando delle prime migrazioni pelasgo-albanesi in Italia, ritenendo di essere in buona fede, sostiene che quelle migrazioni abbiano riguardato coloni greci. Così egli riporta le sue convinzioni alle pagine 19 e 20 dell’opera citata:
“Il primo arrivo dei Greci in Italia risale ad un periodo tanto remoto che sarebbe impossibile precisarne esattamente l’epoca. Certamente molti luoghi, che ora appartengono al Regno delle Due Sicilie, sono indicati da Omero con una tale accuratezza che, sebbene egli non li abbia mai visitati, verosimilmente devono essergli stati descritti da uomini a cui erano familiari. È stato ormai accertato che la prima delle colonie greche nel sud Italia fosse Cuma e Strabone assicura che fino ai suoi tempi essa conservava monumenti, giuochi, sacrifici ed altre istituzioni che rendevano evidente la sua origine”.
Frontespizio dell’opera
Nel seguito lo scrittore dice:
“La presenza di vestigia attestanti la pregressa stanzialità dei Greci non fu certo limitata alla sola Cuma, poiché precedentemente all’edificazione di Roma, o contemporaneamente, o poco dopo, essi fondarono Squillace, Sibari, Crotone, Locri, Metaponto, Elea, Reggio, Posidonia, Siponto, Taranto, Megara, Nasso, Gela, Enna, Agrigento, Siracusa, Catania ed altre città che poi acquisirono grande fama, ed i cui popoli parlarono greco.”
E più avanti, lo stesso Borrelli, ritenendo sempre di origine greca tutte le colonie che si insediarono in Italia, dice:
“È molto verosimile che un gran numero di Greci si siano recati in Italia. Ma si dispersero ovunque, quando videro assalite, occupate e devastate le loro infelici contrade dalle orde barbariche”.
Noi non comprendiamo di quali barbari il sig. Borrelli intenda parlare. Se vuole alludere all’invasione turca nell’Epiro ed in altre regioni della penisola ellenica avvenuta 4 o 5 secoli fa, allora coloro che ne furono oggetto in Italia erano popoli albanesi e non greci. Se poi coi termini orde barbariche egli intende riferirsi agli invasori Cadmei, in tal caso i popoli che le subirono in Italia erano pelasgo-albanesi e fondarono nelle estreme regioni meridionali paesi che, con differenze linguistiche minime, portano nomi albanesi. Perseverando nello stesso errore, il Borrelli più oltre conclude:
“Anzi, quando le vessazioni dei loro oppressori per circostanze particolari divennero più forti, piccoli raggruppamenti di Elleni abbandonarono la loro patria e, seguendo l’esempio dei loro antenati, decisero di trasferirsi nel Regno di Napoli. Citiamo quel gruppo che nel 1534 lasciò Corone, città della Morea e, giunto in Basilicata, si stanziò nel territorio dell’attuale Barile. L’insediamento si accrebbe ulteriormente nel 1647 per l’arrivo di altri Greci provenuti da Maina. Ma già da tempo si riteneva che questo paese (Barile), fosse stato fondato in epoca sconosciuta da altri coloni, anch’essi Greci”.
Ci dispiace moltissimo dover confutare le asserzioni del sig. Borrelli, il cui valore di studioso è giustamente riconosciuto dai suoi colleghi italiani ma, ritenendo di poter dimostrare chiaramente le nostre tesi, replichiamo senza remore alle sue argomentazioni.
Con le parole Il primo arrivo dei Greci in Italia risale a un periodo tanto remoto che sarebbe impossibile precisarne esattamente l’epoca egli chiaramente dimostra di ignorare sia l’esatta origine dei Greci sia l’epoca in cui i popoli che abitavano l’Ellade assunsero tale nome. I coloni che vennero a stabilirsi in Italia in tempi così remoti da non essere rigorosamente databili erano Pelasgi e non Greci. Ed affinché il lettore si convinca della bontà della nostra tesi, citeremo qui appresso l’autorevole affermazione di Erodoto il quale, nel libro VIII della sua Storia, a pagina 108 dice:
“Gli Ateniesi, nel tempo in cui i Pelasgi occupavano l’odierna Grecia, erano Pelasgi, e venivano detti Cranai (forse Caranai). Sotto il re Cécrope si chiamarono Cecropidi; sotto il suo successore Eretteo cambiarono nome e furono detti Ateniesi”.
Se la prima migrazione in Italia, della quale intende parlare Borrelli, non fu effettuata da popoli greci, dal momento che l’appellativo di Grecia esisteva allora forse soltanto in mente Dei, come afferma Erodoto, molto meno popoli bisogna ritenere che non siano stati Greci quelli che vennero a fondare la nostra Cuma, perché stando alle tradizioni locali e a ciò che riportano gli studi storici degli italiani G. Antonini e C. Pellegrino e dei greci Alessarco ed Aristonico, l’esodo di quei Pelasgi che fondarono Cuma e si stabilirono nell’attuale Campania viene collocato contemporaneamente alla prima migrazione nella penisola ellenica, e non si può neppure congetturare quanti secoli prima della guerra di Troia ciò sia avvenuto: e meno che mai si possono considerare coloni greci quei gruppi che, nel 1534, partiti da Corone, città della Morea (Peloponneso), giunsero in Basilicata e, tra gli altri paesi, fondarono Barile, perché gli abitanti di questo paese sono in tutto e per tutto Albanesi, e parlano la lingua albanese; quindi, i loro antenati non potevano essere Greci, ma Albanesi; né erano Greci quelli che giunsero a Barile nel 1647 partiti da Maina, seguiti da altri. È tradizione assai nota presso tutti gli Albanesi residenti in Italia che i paesi nei dintorni di Corone nella Morea siano stati culla dei loro proavi, i quali vennero a stanziarsi nelle province di Potenza, Campobasso, Cosenza, Catanzaro, Reggio ed in Sicilia, ove edificarono castelli, paesi e città; inoltre, molte famiglie albanesi, ancora oggi, aggiungono al cognome l’appellativo di Coroneo, come Jeno de’Coronei, Elmo de’Coronei ecc., ed esiste anche il paese chiamato S. Demetrio Corone. Oltre a ciò, tra i canti popolari tradizionali degli Albanesi, ve ne è uno che incomincia coi seguenti versi:
Albanese antico
Che in italiano vengono tradotti così
Mori ebùkura Morèe,
Cië kùur të glièe nëng të pèe,
Attiè kàm ù szottin tàt,
Attiè kàm ù mëmën timme,
Mori ebùkura Morèe,
Cië kùur tëglièe nëng të pèe.
Ahimè! Bella, avvenente Morea,
Da quando ho dovuto abbandonarti, io non ti vidi più,
Ho là il mio Signor Padre,
Ho là la Signora mia Madre,
Ahimè! Bella, avvenente Morea,
Da quando ho dovuto abbandonarti, io non più ti vidi.
Basandoci sull’autorevolezza di questo documento tradizionale, possiamo concludere che sia completamente falso che tutti quei gruppi i quali, sia prima che dopo il 1534, vennero a stabilirsi nelle provincie sopracitate siano greci, perché tutti i membri di quegli insediamenti parlano l’idioma albanese, ed è legittima conseguenza dedurre che Corone, Maina ed altri centri della Morea fossero stati abitati e fondati da Albanesi. Sicché, da un verso gli storici moderni con la loro superficialità, anche se in buona fede, dall’altro gli antichi, con la loro premeditata malizia, tutti insieme contribuirono ad oscurare e mistificare la reale origine albanese di quelle colonizzazioni, sostenendo l’illogica tesi di insediamenti di Greci.
Liberamente tratto dal libro Studi filologici svolti con la lingua pelasgo-albanese del professore Stanislao Marchianò