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Vi piace Brahms?

Da Paolo Statuti

Vi piace Brahms?

Parafrasando il titolo del noto romanzo Aimez-vous Brahms? di Françoise Sagan (1935-2004), uscito nel 1959, rivolgo oggi la stessa domanda ai miei lettori, con la speranza che il grande musicista (uno dei miei preferiti) entri nel cuore di qualche nuovo amante e cultore della musica classica. Del resto quando uscì il romanzo della scrittrice francese, avevo 23 anni e non ero ancora un seguace della musa Polimnia. Oggi, come sapete, ella è un’ospite frequente e assai gradita del mio blog, insieme con le muse della poesia e della pittura.
Nel 1974 la poetessa Anna Kamieńska (1920-1986) (v. nel mio blog), della quale sto preparando un’antologia di versi scelti, pubblicò la raccolta Da Leśmian…Le più belle poesie polacche, escludendosi per modestia, ma inserendo il marito Jan Śpiewak. Sul frontespizio del libro si legge questa citazione da Leopold Staff (1878-1957):

Da tempo si è affermato che assai più del pane
La poesia serve, quando non se ne ha alcuna fame.

Una delle poesie che mi hanno più colpito di questa raccolta è del poeta Włodzimierz Słobodnik (1900-1991) e si intitola Le visite notturne del signor Brahms. Eccola nella mia versione, seguita da un bel commento della stessa Anna Kamieńska.

Le visite notturne del signor Brahms

Signor Brahms, perché di notte viene a visitarmi
E le sue quattro sinfonie, come quattro pietre,
Mi scaglia o piuttosto come quattro pianeti
Dolenti come arcobaleno tagliato coi coltelli?
Basso grassone con la grande testa di Giove,
Fumatore di sigaro e bevitore di birra,
Da che ti viene l’oscurità che tutto avvolge
Come gigantesca sala, dove arde una sola candela,
La tua disperazione gotica? Tu crocifisso
Alla musica, come Cristo di toni e dissonanze,
Perché vieni da me di notte sorridente
Con filosofia, come se sapessi più di noi,
Cos’è l’immensità della notte e il limite dell’uomo,
Cos’è la fuga d’un fiore dalla propria ombra
E cosa sono gli occhi ciechi delle stelle?
Inoltre sai alquante cose riguardanti il caos,
Che nella notte irrompe, quando non si può dormire,
E tu forse l’hai racchiuso nella tua musica minacciosa,
Per addomesticarlo come animale rapace.
Nelle tue sinfonie le forze naturali vogliono mutarsi
Nelle cose umane, come l’uomo tanto fugaci.
E così il fuoco trasformi in pani infocati,
L’acqua nella trasparenza della fine umana,
L’aria nell’oscuro grido che la trafigge.
Sono già abituato alle tue visite notturne,
Alla tua barba, alla tua alta fronte,
Alla tua pancetta e al tuo sigaro,
Che arde per me come fiammella di una nota.
E vago tra le tue sinfonie come nei cerchi dell’inferno,
E mi dimeno come pesce gettato sulla riva.
Le tue sinfonie mi trasportano come onde agitate
E il destino della tua musica al mio destino umano
Si lega come l’ombra della mia lampada
Alla mia ombra, come l’insonnia allo spavento.
Basso grassone, sei l’incarnazione di tale musica,
Che prima salverà il mondo, per poi distruggerlo
Con una sola sferzata di giganteschi toni,
Catastrofici come i tuoi occhi e la tua fronte.
Nella tua musica accosti le cose distanti tra loro,
E così un violino al bisturi del chirurgo accosti,
Un uccello a uno scaffale della biblioteca, in cui
I libri invidiano all’uccello le sue ali,
Un vecchio, che si prepara il tè, a un antico coro,
Una donna che dorme all’insonnia della lontananza,
Una scultura alla fuga di tutte le forme,
I cortei di ombre al puro freddo dell’astrazione,
La serenità della mano, quando un raggio di sole
Vi cade, alle cinque disperazioni delle sue dita,
La quiete dopo il boato del vulcano a foglie danzanti,
L’aspra solitudine umana alla solitudine di ogni Dio,
L’ira del tuono alla tolleranza delle gocce di pioggia,
La caduta nell’abisso alle gambe bel salde sulla terra.
Signor Brahms! Aspetto la tua prossima visita.
Ma forse verrai, quando io non ci sarò più?

(Versione di Paolo Statuti)

Dialogo tra il poeta e il silenzio

Monologo o dialogo? A dire il vero è una poesia per una sola voce, la voce del poeta. Ma solo in apparenza. In realtà su questa scena poetica ci sono due personaggi: il poeta e il silenzioso Brahms.

Signor Brahms, perché di notte viene a visitarmi
E le sue quattro sinfonie, come quattro pietre,
Mi scaglia o piuttosto come quattro pianeti…

La conversazione inizia in modo quasi consueto, in tono amichevole e convenzionale: “Signor Brahms”… Ma subito avvertiamo che non sarà una conversazione convenzionale. E’ una conversazione in cui una sola voce crea due personaggi, una sola voce imbastisce un dialogo. In questa poesia si delinea chiaramente una situazione teatrale. Si svolge una grande conversazione, in cui sentiamo soltanto una voce. La seconda voce è il silenzio. Brahms risponde con il silenzio, ma in questo silenzio si sente tutta la sua potente musica, piena di enorme caos e di saggezza. L’antica saggezza cinese della filosofia Lao-Tse afferma che, chi parla – non sa niente, colui che sa – tace.
E’ così anche nella poesia di Słobodnik – colui che non sa parla, parla, racconta, descrive, chiede. Colui che sa – tace. Il sapere di Brahms è la conoscenza di una grande arte, nonché la conoscenza dell’altra sponda, la conoscenza della morte.
Nel suo ruolo, nel suo monologo il poeta traccia l’inconfondibile figura del compositore. Lo vediamo. C’è in lui qualcosa di Socrate, qualcosa di Villon e qualcosa di Baudelaire. Un basso grassone con la grande testa di Giove, che sorride con filosofia, barbuto, con un boccale di birra, il sigaro in bocca, con la fronte sporgente e gli occhi ardenti. Questo Brahms non è un nebuloso fantasma, è concreto e vero, vero soprattutto grazie alla sua caratteristica bruttezza. Egli è vero, ma in modo inquietante si fondono in lui diversi personaggi: Giove, l’ubriacone di Villon, il “Cristo crocifisso dei toni e delle dissonanze”, il sorridente filosofo dalla grande testa, il borghese panciuto che fuma il sigaro. Brahms tratteggiato con alcuni tocchi e accenni del poeta è pluridimensionale e misterioso. Tanto più misterioso è il suo linguaggio, il linguaggio della sua musica. Qui anche la saggezza del poeta è nella concretezza della parola. Dapprima le quattro sinfonie di Brahms sono paragonate a quattro pietre, poi invece a quattro pianeti. Le quattro pietre, così concrete e pesanti, costituiscono un facile aggancio per la nostra immaginazione. Ora seguiamo agevolmente la fantasia del poeta che ci conduce verso immagini sempre più tridimensionali, cosmiche, surreali. Ma l’immaginazione poetica di Słobodnik ruota incessantemente nella concretezza. Gli inferni che questa poesia non può lasciare, determinano la sua forza e il suo fascino peculiare. Anche la tecnica del sonno, la tecnica del surrealismo non va oltre il grottesco in senso classico, oltre la metamorfosi, dove le forme dei corpi passano in altre forme e si legano ad esse. Questa splendida caratteristica della sua immaginazione il poeta l’attribuisce anche a Brahms:

Nella tua musica accosti le cose distanti tra loro,
E così un violino al bisturi del chirurgo accosti,
Un uccello a uno scaffale della biblioteca, in cui
I libri invidiano all’uccello le sue ali,
Un vecchio, che si prepara il tè, a un antico coro,
Una donna che dorme all’insonnia della lontananza,
Una scultura alla fuga di tutte le forme,
I cortei di ombre al puro freddo dell’astrazione…

E benché le immagini legate tra loro in modo ibrido, raggiungano gradualmente una sempre maggiore rarefazione – fino all’astrazione, esse non si perdono mai nella sola retorica della parola. L’immaginazione di Słobodnik è fino al midollo sensitiva, sensualistica. La sua fantasia si può forse definire surrealismo classicistico. Le forme dell’immaginazione sono qui create dall’accostamento di immagini concrete, intese come dissonanze plastiche. Sulla creazione di immagini irreali scriveva già Orazio nella sua Ars poetica, del resto con disapprovazione:

Se un pittore volesse unire a una testa d’uomo
un collo di cavallo, se volesse ornare di piume
multicolori membra accozzate da cento parti,
se volesse far terminare il corpo di una donna,
bella in viso, in uno sporco pesce, davanti
al quadro, amici miei, sapreste trattenere le risa?

Noi non ridiamo. Ciò che Orazio invitava a deridere, esisteva già nell’arte antica, sia nella pittura che nella poesia. In seguito tuttavia ci ha abituati a questo ibridismo delle forme la pittura surrealista, che crea le sue visioni anche da forme concrete fino all’ossessione, fino alla volgarità del sangue, delle ferite sanguinanti, delle teste troncate, ecc. Del resto anche la scultura romanica e gotica è piena di cose “incredibili”, nate da una immaginazione concreta, fino alla ingenuità popolare. Per questo anche la “disperazione gotica” della poesia di Słobodnik si richiama per noi a questa arte, che al tempo stesso è elevata e peculiare.
La poesia di Słobodnik che parla della musica, cioè della più incorporea delle arti – nella sua visione è scorrevole, ma estremamente corporea.
Questa poesia sull’arte ricorre inoltre a un vasto campo di riferimenti culturali – dalla mitologia antica attraverso il cristianesimo e il gotico, attraverso Dante, con la sua visione dell’inferno – fino alla realtà contemporanea e all’arte astratta. E’ una scala di riferimenti eccezionalmente ampia. Tutta la cultura, l’arte di diversi secoli, è come un grande strumento, di cui il poeta preme i tasti, per rendere la profondità della musica di Brahms, dove c’è sia la potenza delle forze naturali, sia la conoscenza dell’essere umano, da noi soltanto intuito.
Le opere che parlano di arte si definiscono a volte come auto-tematiche. L’arte sulla stessa arte. L’arte come rivolta a guardare in se stessa, l’arte della propria autoconoscenza. Sarebbe un’autoconoscenza soltanto formalistica, se l’arte non fosse intesa come in Słobodnik, quale forma di conoscenza esistenziale. L’arte sa più di noi sul mondo, sulla vita, sul trascorrere. Sa perfino più di quelli che la creano. Per questo forse Brahms tace, parlando soltanto con la sua grande musica. Come nelle immagini della fantasia si intrecciano differenti corpi, così anche nella vera conoscenza si intrecciano le forme dell’arte e della vita umana. Insieme in questo intreccio indivisibile, esse costituiscono la realtà dell’uomo. Anche per questo è un nonsenso affermare che le opere che parlano di arte restringono la consapevolezza del poeta. La vita è una forza naturale, ma soltanto la realtà della cultura, e quindi anche dell’arte, è una realtà specificamente umana. L’esistenza vissuta attraverso l’arte è un’esistenza moltiplicata, che supera i limiti di tempo e di spazio, e che si basa sul trascorrere. E’ come accostare:

La caduta nell’abisso alle gambe ben salde sulla terra.

La concreta visione di Słobodnik del mondo visto attraverso la vita, è una visione drammatica, permeata di catastrofismo. Troviamo qui le consuete paure umane e le paure dell’umanità davanti alla catastrofe del mondo. Il punto culminante di questo catastrofismo è nell’ultima domanda che suona così semplice:

Ma forse verrai, quando io non ci sarò più?

Questi versi sciolti, irregolari, che ruotano intorno al verso di tredici sillabe, potremmo definirli classici e scespiriani, come estratti dall’andamento di un grande dramma.
La poetica di Słobodnik è una particolare lega di tradizioni e di elementi contemporanei. Unisce in sé diverse correnti, impiega a modo suo l’eredità della cultura. E’ una poesia che spazia tra, o piuttosto al di sopra di scuole e programmi di gruppi letterari. Per la verità in gioventù Włodzimierz Słobodnik fece parte del gruppo “Kwadryga”, insieme con poeti quali Władysław Sebyła, Stefan Flukowski, Lucjan Szenwald, Konstanty Ildefons Gałczyński, Stanisław Ciesielczuk. Era piuttosto un gruppo di amici. Inizialmente li univa il programma sociale. Poi, come di solito accade, il destino disperse gli scrittori e le individualità. Certamente avevano più cose in comune con lo Skamander che con l’avanguardia.
Słobodnik analizzando la musica di Brahms nella sua poesia Le visite notturne del signor Brahms, ci ha dato anche una sua auto-analisi. Ci ha dato anche il suo autoritratto poetico, la propria concezione dell’arte. Così come la musica che descrive, turbato, concreto e irruente, vicino alle semplici questioni e realtà umane, è immerso anche in timori catastrofici, è il poeta di un’epoca di paure e di orrori, amante della vita con la sua quotidianità e concretezza permeata di catastrofismo del trascorrere.

Anna Kamieńska

(C) by Paolo Statuti



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