Turchia, 19 Settembre 2012.
TheTweeter aveva raccontato la vicenda e la potete rileggere qui, ma la vicenda di Nevin Y’nin non si è chiusa così semplicemente. La gravidanza, frutto della violenza del suo stupratore, è ormai giunta al quinto mese, con vani tentativi di aborto e richieste considerate immorali.
In Turchia la possibilità di abortire è concessa fino alla decima settimana; in Italia, con la legge 194 del 1978, è possibile farlo anche oltre il 90° giorno se la prosecuzione della gravidanza, e il conseguente parto, arrecassero gravi danni alla partoriente.
Nevin Y’nin minaccia di lasciarsi morire nel caso non gli venisse concessa la possibilità di abortire e la sua dichiarazione fa scalpore.
A Maggio, infatti, aveva definito l’aborto come “un omicidio” e voleva abbassare il limite massimo da 10 settimane a 6, la revisione della legge è stata poi bloccata a seguito delle numerose proteste, “my body, my decision” (“mio corpo, mia decisione” N.d.R.) recitavano gli slogan.
Le contromisure del governo non si sono fermate e il 20 Luglio è stata impedita la vendita dei farmaci per l’aborto sicuro, scatenando le ire delle Associazioni di Medici Turchi.
Il premier è anche contro il parto cesareo. Erdogan, infatti, sostiene che questa tecnica provochi un abbassamento della crescita demografica; gli ultimi dati danno il tasso turco a 1,5%, mentre il premier vorrebbe alzarlo di un punto percentuale.
La storia di Nevin Y’nin è il caso emblematico di una Turchia con un premier che si dice di ispirazione laica che, invece, sta contribuendo a una politica sessista e molto attaccata alle tradizioni.
Il quinto mese di gravidanza, per procedere a un aborto, è tardi anche in Italia, dove la politica sull’interruzione di gravidanza è un po’ più permissiva, ma forse la libera decisione della 26enne avrebbe dovuto essere approvata tempo fa.
Veronica Sgobio