di Giulia Annovi
Quest’anno ho avuto l’occasione di seguire la notte dei ricercatori in una città diversa dalla mia: sono a Trento e il MUSE, il nuovo museo dedicato alla scienza, fa da cornice alla manifestazione.
Le iniziative proposte sono molteplici: ci sono stands dove le persone possono interagire direttamente con i ricercatori, e ci sono punti in cui provare a fare piccoli esperimenti. Ho avuto occasione di seguire presentazioni su temi molto vari: archeologia, sociologia, comunicazione, ingegneria, biologia.
La cosa però che mi ha colpito di più, perché può coinvolgere tutti noi a lungo termine, è stata la conferenza sul fact-checking scientifico.
Cos’é il fact-checking? Come dice la parola, è un controllo dei fatti.
È noto che gli scienziati parlano delle loro ricerche in pubblicazioni piuttosto complicate. Il giornalista è colui che semplifica e interpreta per il grande pubblico le parole del ricercatore. Se la notizia è interessante, i lettori spargono la voce con il moderno passa-parola: i social network.
Durante questo processo è facile che si verifichino errori a vari livelli. Il ricercatore può vendere al grande pubblico una falsa scoperta, magari bizzarra, che ha alto impatto sull’immaginario delle persone comuni. L’esempio più prossimo è il caso Stamina, ma prima era successo anche con Di Bella. Le bufale sono sempre più frequenti e ci sono siti come quello del CICAP, dove c’è chi cerca di scovarle e di verificare che il fatto scientifico sia vero.
Poi possono sbagliare i giornalisti, ad esempio comprendendo e interpretando male le parole dei ricercatori. A volte, a caccia dello scoop, possono dare rilievo a notizie senza verificarle. Talvolta sia lo scienziato che il giornalista fanno un cattivo servizio al cittadino: è il caso del terremoto de L’Aquila.
E i cittadini che ruolo hanno in tutto questo? Loro possono verificare le notizie o chiedere che qualcuno controlli l’informazione. Il sistema è virtuoso: la presenza di più voci assicura il controllare dell’informazione con differenti punti di vista e permette di segnalare fonti diverse per correggerla. È importante che le persone passino da un assorbimento passivo della notizia a un ruolo attivo, per far sì che l’informazione circoli nella maniera più corretta.
Certo, gli italiani non sono così educati a verificare le fonti e non sempre hanno uno spirito critico. Un sito che spiega come fare e che offre questo importante servizio ai cittadini c’è già: è quello di Fondazione Ahref. “Il sito funziona” dice uno dei relatori “ma molti lo guardano e pochi hanno il coraggio di proporre una verifica o aggiungere il proprio commento personale.”
Non interpretate questo invito solo come un obbligo, un dovere morale. La partecipazione può essere anche divertente: il sito è studiato in modo da far giocare l’utente della piattaforma, mentre svolge un servizio per la comunità. Allora che ne pensate? Vale la pena provare?
Ringrazio per l’interessante contributo e gli spunti di riflessione Guido Romeo, Giancarlo Sciascia e Massimo Carnevali.
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