Ore 8: prendo l’autobus per andare a lavorare.
Prima fermata: salgo, c’è un posto. Anzi, ce ne sono due. Accanto a me siede uno che svapora tanfo di pecora sudata. Mi alzo e vado in fondo.
Secondo fermata: Non entra un carpentiere con un tavolone di due metri che mi pare tutto Gesù Cristo e si viene a mettere accanto a me?
Non solo lui, pure il tavolone.
L’autista fa una bella frenata, il carpentiere mi abbraccia mentre cerca di afferrare il tavolone che invece ci fa la fotografia sbattendo a me sulla testa e a lui sull’orecchio.
”Mi deve scusare”.
“A bello cuore, non c’è niente!”
Terza fermata: Sale come al solito la maestrina racchia che con tutti i tacchi non arriva neanche al sedile. Siccome si schifia a toccare le maniglie, sbatte un poco di qua e un poco di là.
Ben le sta quando l’autista prende una scaffa, lei vola come un angelo ma poi scompare all’improvviso.
La rivedo che con i denti scava il corridoio dell’autobus.
Si alza, si ricompone, dice cornuto all’autista e poi fa finta di niente.
Quarta fermata: Sale sull’autobus la madre dell’autista.
Non ci fa perdere mezz’ora di tempo perché se lo deve abbracciare e se lo deve baciare, gli deve domandare se si è bevuto il latte con il pane abbagnato, se si accoppia ancora con quella femmina perduta e se le mutande se le lava o si mette sempre le stesse?
Quinta fermata: Sia lodato Gesù Cristo!
È il turno del collega del carpentiere, anche lui con tanto di tavolone ma di un metro e mezzo.
“Simone, sali che qua c’è posto”.
Sesta fermata: “Fate spazio! Fate passare mia zia Veronica” - incedendo lentamente un pachiderma degno del circo di Moira Orfei trova posto.
Mentre si rassetta le cosce starnutisce, esce un fazzoletto giallo di muco vecchio da dentro il reggipetto e se lo passa in faccia.
Anche la nipote si accorge di una striscia gelatinosa che le è rimasta in fronte.
Penso ad un epitaffio letto al cimitero:“Stroncato da furioso morbo”.
Settima fermata: La maestrina racchia esperta di rollio sembra ormai anticipare gli sbilanciamenti dell’autobus. L’autista sterza per scansare un cane con tre piedi. La maestrina racchia decolla come un aereo dell’Alitalia, raggiunge la massima altitudine e in tre secondi atterra sopra la signora elefantessa che urla “Matri mia, mi scafazzò”.
Recupera la posizione eretta, si scusa con la matrona, dice cornuto all’autista e poi fa finta di niente.
Ottava fermata: E queste pie donne da dove sbarcano, penso squadrandole dalla testa ai piedi: capelli biondo ossigenato , sopracciglia depilate, trucco a tignitè, magliette guarda che minne che ho, ombelico e perizoma di fuori, tacchi a spillo e punta a forma di supposta.
Una dice che la profa di filosofia le sta sui coglioni.
Lo zainetto Eastpack conferma che trattasi di studentesse del liceo Classico.
Nona fermata: La maestrina racchia ormai non la fotte più nessuno.
Tiene un piede avanti e uno indietro e oscilla secondo l’inclinazione del piano sui cui poggia.
Un finocchio distratto attraversa la strada con una cagnetta infiocchettata; l’autista frena, il finocchio sviene, la creatura pure. La maestrina racchia levita al tetto come il Cristo nelle Resurrezioni e poi piomba sulla pecora fetente.
Si scusa, si annusa la giacca del tailleur storcendo il naso, dice cornuto e poi fa finta di niente.
Decima fermata: “Ladri, furfanti, dovessivo buttare sangue dal cuore da inchere la vasca e farici pure u bagnu!” sbraita l’uomo vestito da becchino frugandosi la giacca e i pantaloni.
“È inutile - lo consola la donna che gli sta accanto- ti hanno spogliato? Pensa a quando lo facevi tu questo mestiere”.
Undicesima fermata: Sto stretto. Mi appoggio al tavolone per allentare la tensione della gamba sinistra. Una punta mi penetra sotto la spalla.
Ebbuttana la miseria, almeno i chiodi glieli potete levare!
Dodicesima fermata: La rogna umana cade per terra.
“Muriu!”dice la signora impellicciata ad un metro da lui.
“Ancora respira!” si intromette una che lo sonda con la punta della scarpa. “No lui, io muriu ru fetu!” Precisa la signora.
Bisogna portarlo fuori. E chi lo prende?
Il carpentiere e Simone presi dal genio decidono di fare una barella con i due tavoloni: in quattro e quattr’otto il putrescente è affidato ad un controllore che aspetterà l’autoambulanza.
Benedetto il Signore, pensa la pacchiona che non fa il biglietto per vocazione.
Tredicesima fermata: La maestrina racchia si approssima all’uscita, si ferma sulla botola. Decide di scendere l’autista dalla croce:
“Cornuto con la C maiuscola di Cornuto di tuo padre, la patente che hai buttala e te ne fai una nuova con le corna come un becco, almeno diventi cornuto patentato!”.
Inciampa sul gradino, arriva sul marciapiede che qualcuno la scambia per lo zerbino.
Lei fa finta di niente.
Quattordicesima fermata: Sono arrivato, Piazza Croci.
Dovrei scendere ma sono sepolto dalla folla. È inutile dire permesso, uso il vecchio colpo di coda: “Sta salendo, sta salendo!”. E che è?
Restiamo solo io e l’autista.
“A domani Vicè, una buona giornata”.
La vita è una via crucis, l’importante è arrivare a destinazione.
Giorgio D'Amato