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Via libera alle unioni civili romane

Creato il 04 febbraio 2015 da Rodolfo Monacelli @CorrettaInforma

Partono le unioni civili. Nel caos della “dittatura mediatica” non tutti sanno attualmente cos’è successo a Roma il 28 gennaio 2015, forse perché sommersi da valanghe giornalistiche per le attuali elezioni del Presidente della Repubblica.

Unioni civili romane

Grazie alla maggioranza di voti del centrosinistra e del Movimento 5 stelle, dall’assemblea capitolina Roma ha ottenuto il registro delle unioni civili. I 32 voti favorevoli, 10 contrari e 1 astenuto, hanno così uniformato la Capitale a tante altre città italiane. Al registro unico per tutti i Municipi di Roma Capitale potranno iscriversi “le coppie formate da persone maggiorenni e conviventi di qualsiasi sesso, italiane o straniere, e che non siano legate tra loro da vincoli giuridici, che non facciano parte di un’altra unione civile e che non siano sposate, vincolo quest’ultimo che cade al momento dell’annotazione della separazione, senza quindi dover aspettare il divorzio”. Sul sito della capitale si può anche così costatare come “la coppia dovrà dimostrare di essere convivente da almeno un anno e non dovrà essere legata da vincoli di parentela fino al quarto grado, adozione, tutela o amministrazione di sostegno. Le coppie iscritte al registro saranno equiparate a quelle sposate per quanto riguarda le agevolazioni ai servizi comunali. Nel dettaglio gli iscritti potranno accedere alle graduatorie delle case popolari, iscrivere i figli negli asili nido comunale o, ancora, usufruire delle agevolazioni offerte dal Comune. Il registro dovrebbe entrare in funzione dai primi di marzo. Nel frattempo sarà predisposta la modulistica necessaria a regolare le iscrizioni”. Tale iscrizione avrà anche una cerimonia presso i locali comunali che solitamente sono adibiti alla celebrazione dei matrimoni civili (Sala Rossa).

Per i vincenti un passo avanti riguarderebbe un ulteriore possibilità: l’equiparazione a ‘parente prossimo’ dei due componenti della coppia ai fini della possibilità di assistenza sanitaria. Su questo ultimo punto, il consigliere dei Radicali, Riccardo Magi, ha spiegato: “Questo emendamento viene incontro all’esigenza delle coppie di fatto di vedere garantita la possibilità di accedere alle informazioni sullo stato di salute del partner”. Tra gli emendamenti non approvati risulta essere il secondo proposto dalla consigliera Pd, Daniela Tiburzi, che chiedeva il cambio del nome del registro in ‘registro delle convivenze’.

Per il sindaco Marino “La Capitale dà il segnale che, in questa città, l’amore è uguale per tutti”. Mentre per la speaker radiofonico Luxuria “oggi è un giorno importante, Roma vuole essere una città aperta, democratica e ribadire al Parlamento che è ora di dotarsi di una legge per riconoscere i diritti di chi si ama. Oggi è una vittoria civile, di una Capitale di uno Stato laico che chiede a gran voce di riconoscere le unioni affettive tra persone”.  ”Un momento storico” lo definiscono le associazioni gay.  Per Vendola invece sarebbe “Il punto di svolta dopo la stagione cavernicola di Alemanno per l’immagine, di una Roma caput mundi che fa dell’accoglienza, dei diritti civili la propria regola”. “Roma respira. Ora bisogna battersi per il matrimonio gay – la promessa di Vendola – l’urgenza è di uscire dal Medioevo. Proprio ieri sera nell’incontro che ho avuto con Matteo Renzi ci è stato detto che è imminente la stagione dei diritti.”

Soddisfatta anche la consigliera capitolina Imma Battaglia (Sel): <<Io sono omosessuale e oggi guardo negli occhi l’opposizione e le persone in questo Consiglio che negli ultimi giorni mi hanno offeso e mi hanno ricordato cosa vuol dire essere diversi: se si tratta di una coppia omosessuale si chiede la convivenza di un anno, il permesso di soggiorno e controlli mai chiesti a coppie eterosessuali. Ieri poi – ha ricordato Battaglia – abbiamo dovuto vedere quello striscione ‘Maschio e femmina li creò’: io sono nata da una madre e un padre che mi hanno insegnato valori che voi vi segnate. Noi qui stiamo facendo la storia, siamo la politica che rispetta i suoi programmi e i diritti dei cittadini>>.
“L’istituzione del registro delle unioni civili da parte del Comune di Roma è un ulteriore passo sul cammino di civiltà che l’Italia ha intrapreso”, osserva il sottosegretario alle Riforme del Governo Renzi, Ivan Scalfarotto. “Grazie a Ignazio Marino e al gruppo del Pd, Roma è una città più civile e moderna”, twitta il presidente del Pd, Matteo Orfini.

Ma la festa si è spostata dalla sala Giulio Cesare al di fuori del Palazzo Senatorio ove il coordinamento Roma Pride ha dato vita ad un flash mob: una ventina di ragazzi, seduti sulla scalinata del Campidogio, hanno esposto dei cartelli raffiguranti dei cuori con al centro il simbolo dell’uguale “a simboleggiare che tutti gli amori sono diversi ma vogliono uguali diritti”, facendo volare palloncini colorati a forma di cuore, mentre altri si sono concessi un girotondo attorno alla statua di Marco Aurelio

Per il centrodestra invece: “Questo registro non ha alcun valore giuridico ed è solo un’autentica provocazione”, ha riferito il senatore Maurizio Gasparri (FI). Per l’ex sindaco Gianni Alemanno “è un’iniziativa contro la legge, che serve solo ad illudere le persone e ad indebolire le famiglie”.

Per quanto riguarda i lettori già informati sull’accaduto, sicuramente non avranno avuto a disposizione le seguenti notizie, che né i giornali, né il comune, hanno fatto trapelare. Difatti, nell’intervento del 19 gennaio sulla delibera, Gigi de Paolo discorreva: “Innanzitutto volevo sottolineare con tristezza il fatto che in un dibattito così importante come quello delle unioni civili l’aula è semideserta”. Il consigliere comunale della Lista Civica Cittadini X Roma aveva già esposto la sua contrarietà alla delibera sul registro delle unioni civili, presentando 21 emendamenti  (proposte di modifica): <<Non è una materia di pertinenza comunale >>. Rifacendosi all’articolo 117 comma 2 della costituzione italiana; insomma ci sarebbero problemi più rilevanti all’interno della Capitale che nella sua campagna elettorale non erano emersi (traffico, asili nido, verde pubblico, immondizia), anzi, De Paolo ha affermato che il comportamento dei consiglieri comunali sembrerebbe quello di “scimmiottare quello che dovrebbe competere a livello nazionale”; la delibera si rivolgerebbe solo ai 145 degli oltre 8000 comuni italiani che hanno deciso di istituire un registro sulle unioni civili e solamente 2000 coppie hanno aderito in queste città al registro, indi per cui tale “scelta non ha niente a che vedere con le reali priorità dei cittadini”.

Un’altra motivazione ha riguardato la futura celebrazione che dovrebbe avvenire per ogni iscritto al registro e che secondo De Paoli non avrebbe senso perché risulterebbe un “non-matrimonio”, in quanto proprio le coppie eterosessuali si iscriverebbero per non avere un matrimonio, un impegno con la cittadinanza,  ma solo con il proprio partner, insomma risulterebbe una vera e propria “contraddizione in termini” – e dunque diretta alle coppie esclusivamente omosessuali che in Italia non possono ancora sposarsi? Successivamente, sull’equiparazione fatta nella delibera tra l’attuale registro e il matrimonio, De Paolo ha fatto riferimento agli articoli 143, 144, 145, 147 del Codice Civile declinanti i doveri che i coniugi firmano e devono rispettare e “sarebbero solo e soltanto questi doveri che automaticamente creano dei diritti, non esistono diritti senza doveri, sono i doveri degli articoli sopracitati  - firmati durante il matrimonio – che maturano i diritti del matrimonio”; in ultima analisi nella delibera non si sarebbe tenuto conto della “parte più fragile della coppia” (i figli) e che lo stesso Codice Civile invece darebbe soprattutto in caso di separazione o divorzio, mentre tale delibera non ne avrebbe tenuto minimante conto, “non c’è nessuna tutela l’uno dell’altro, non c’è una compartecipazione solidale, c’è semplicemente un accordo scritto”.

Mentre per Rossin “è solamente e meramente un atto ideologico che non avrà efficacia, non produrrà effetti, quindi è una presa in giro di tutti coloro che oggi in aula o fuori, una comunità o categoria di persone che aspettano fiduciosi questo esito; quindi ha una triplice valenza: a) la delibera è illegittima perché non produrrà effetti giuridici; b) è stata viziata nella forma perché hanno cassato 6000 ordini del giorno e anche questo è oggetto di diffida al prefetto; c) questa utenza a cui è diretta rimarrà malissimo dopo il festeggiamento di oggi, perché non è portatrice di nessuna novità e di nessun cambiamento, perché, ribadisco, è materia esclusivamente di competenza del parlamento”.

Ma di preciso che cos’è il Registro Comunale delle Unioni Civili? Secondo la sua definizione  le unioni civili farebbero riferimento a quelle forme di convivenza fra due persone, legate da vincoli affettivi ed economici, che non accedono volontariamente all’istituto giuridico del matrimonio, o che sono impossibilitate a contrarlo, alle quali gli ordinamenti giuridici abbiano dato rilevanza o alle quali abbiano riconosciuto uno status giuridico. La classe delle unioni civili è molto variegata nel mondo e comprende un’estrema varietà di regole e modelli di disciplina: in particolare, le unioni civili possono riguardare sia coppie di diverso sesso sia coppie dello stesso sesso; il diritto non è rimasto indifferente all’evoluzione dei costumi ed esiste oggi un gran numero di provvedimenti legislativi che disciplinano le nuove unioni.

Inoltre se il lettore andrà a spulciare nei meandri del Web, potrà apprendere ciò che è stato definito un “flop registri”: a Bologna esiste dal 1999 e non vi è neppure una coppia iscritta. Invece a Varese l’hanno bloccato «perché non serve a nulla»; a Napoli si sono iscritte solo sei coppie, a Firenze sono 7 coppie omosessuali, mentre a Gubbio l’hanno cancellato per «inutilità». Ma allora perché i conviventi snobbano un riconoscimento giuridico della loro unione? Secondo alcuni (Registro unioni civili: anche Genova ci prova” di Tommaso Scandroglio 04-04-2013 su “La nuova Bussola quotidiana”) ”….. La risposta è semplice: le coppie di fatto vogliono appunto rimanere “di fatto” e non vogliono essere riconosciute giuridicamente, altrimenti si sposerebbero. Vogliono una relazione libera da gabbie formali giuridiche, svincolata da timbri e bolli. E dunque si può concludere che se la materia della convivenza può essere già fin d’ora regolata con il diritto privato, se si vogliono solo i diritti dei coniugi, ma non i corrispettivi doveri, se i registri non sono voluti dai conviventi anche omosessuali, allora l’iniziativa di istituire i registri per le unioni civili è unicamente animata da un’ideologia anti-matrimonialista… “.

Ma allora che cosa centrerebbero e  in che cosa consisterebbero le coppie di fatto?

Storia italiana sulla coppia di fatto

Negli anni ’90 il movimento LGBT, chiese in diverse città italiane di istituire registri delle unioni civili. La registrazione anagrafica della convivenza aveva solo un significato simbolico, a meno che il singolo Comune non avesse deciso di aggiungere dei diritti reali (ad esempio, accesso agli alloggi popolari). La Spezia nel 2006 fu il primo comune italiano che decise di aprire agli omosessuali il registro delle unioni civili. Questo provvedimento determinò l’equiparazione amministrativa delle coppie di fatto (diritto alle case popolari, etc.). Interessanti sarebbero le eccezioni per alcune categorie di persone. Infatti, i partner di giornalisti e onorevoli, anche se non sposati, potevano  usufruire del trattamento sanitario del partner appartenente a queste categorie, inoltre per gli onorevoli era possibile lasciare al proprio partner la pensione di reversibilità, anche se tra di loro non sussistesse alcun legame matrimoniale. L’8 febbraio 2007 il governo italiano approvò un nuovo disegno di legge che prevedeva i riconoscimenti delle unioni di fatto, non sotto la denominazione comune di PACS, bensì di DICO (nel quale avrebbero potuto beneficiare degli effetti del disegno di legge, qualora approvato dalle Camere, i conviventi ovvero «due persone maggiorenni, anche dello stesso sesso, unite da reciproci vincoli affettivi, che convivono stabilmente e si prestano assistenza e solidarietà materiale e morale, non legate da vincoli di matrimonio, parentela, affinità, adozione, affiliazione, tutela.» Il disegno di legge era finalizzato al riconoscimento giuridico alle “convivenze” che risultano iscritte nei registri anagrafici di ogni comune, con il conseguente riconoscimento di taluni diritti e doveri a seconda della rispettiva durata della convivenza.

Ma visti i numerosi problemi rilevati dal Senato, ed alcuni problemi di ordine tecnico giuridico,  ( come l’essere stato considerato un “matrimonio di serie b” che non tutelerebbe del tutto i rispettivi figli e partner) un comitato ristretto della commissione giustizia avente come relatore il senatore Cesare Salvi (Sinistra Democratica), elaborò una nuova proposta di legge sul CUS. La caduta del Governo Prodi fece decretare, di fatto, il fallimento della proposta di legge.

Il 17 settembre 2008 il Ministro per la Pubblica AmministrazioneRenato Brunetta propose un riconoscimento sia per coppie eterosessuali che per coppie omosessuali chiamato DiDoRe (DIritti e DOveri di REciprocità dei conviventi). La proposta fu presentata al parlamento l’8 ottobre 2008 ed è assegnata alla II Commissione Giustizia, che non l’ha ancora esaminata.

Il nervo della questione si accese quando all’inizio dell’anno 2014 Matteo Renzi, allora solo segretario del Pd,  la ripropose cercando di accelerare la sua proposta, ispirata alla civil partnership del Regno Unito, così da includerla nel patto di coalizione pubblicato in una sua aNews insieme ad altre sue proposte sulle riforme istituzionali e della Bossi-Fini. La risposta degli allora alleati di governo dell’Ncd fu subito “c’è ben altro a cui pensare”. Ma Renzi voleva continuare per la sua strada, chiarendo a sua volta che quello che non si poteva fare con loro, lo si sarebbe fatto con altri.

Così si arrivò al 14 aprile 2014, quando a Grosseto fu ufficializzata la trascrizione nel registro di stato civile del comune dell’atto di matrimonio tra Giuseppe Chigiotti e Stefanoi Bucci avvenuto a New York; poi a Bologna il 14 settembre; il 19 ottobre dal sindaco Pisapia a Milano;  a Roma il 18 ottobre dal sindaco Marino. Finché non arrivò il fermo di Alfano con la famosa circolare del Viminale che imponeva l’annullamento delle trascrizioni di matrimoni tra omosessuali contratti all’estero, come quelle firmate precedentemente. “In Italia non è permesso dalla legge che due persone dello stesso sesso contraggano matrimonio, quindi non è possibile che due persone dello stesso sesso italiane si sposino all’estero e lo trascrivano in Italia. Quindi io ho rispettato la legge, non ho fatto una battaglia di principio” disse Alfano prima dell’assemblea regionale lombarda dell’Ncd. Ma il 9 gennaio a Roma il sottosegretario della giustizia, Cosimo Maria Ferri, nel rispondere in Aula alla Camera a un’interrogazione, sottolineò che “i sindaci sono tenuti a uniformarsi alle istruzioni impartite dal ministero dell’Interno e la vigilanza sugli uffici dello stato civile spetta al prefetto”. Pertanto “I provvedimenti prefettizi di annullamento di ufficio della trascrizione dei matrimoni celebrati all’estero tra persone dello stesso sesso sono pienamente legittimi”.

Arrivando così al nostro fatidico passetto in avanti romano, grazie all’approvazione della Delibera 96 del 2013 fortemente voluta da Ignazio Marino, con cui dal gennaio 2015 ci si potrà considerare effettivamente “compagni di vita” senza distinzioni.




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