Interrogazione a Baudelaire sul tema del viaggio, nel suo “Les fleurs du Mal” (I fiori del Male).
Riprendo in mano il primo libro di poesie che ho acquistato (quindici anni or sono?) e divorato avidamente, in pieno esistenzialismo adolescenziale. L’occasione e il tema mi sono offerti da una mia cara amica, che sta preparando una performance itinerante nelle colline romagnole, un evento che combina lettura, danza e territorio, reinventando in modo contemporaneo la tradizione romagnola di “fare trèb”. Per la preparazione di questa performance in cammino, mi ha chiesto di affidarle alcuni testi sul tema del viaggio, e io, che avevo già in mente di riguardare il mio “Caronte” personale, traghettatore sulle sponde della poesia, al posto di me stessa ho interrogato Baudelaire. Meglio lasciar parlare le sue poesie: tra viaggio, nostalgia, erranza e perdizione, sono incredibilmente attuali…
Zingari in viaggio
La tribù dei profeti dalle pupille ardenti
ieri s’è messa in viaggio, sul dorso recando
i piccini o ai lor fieri appetiti concedendo,
sempre pronto, il tesoro dei seni pendenti.
Gli uomini camminano sotto armi lucenti
lungo i carri ove stanno i loro rannicchiati,
muovendo per il cielo gli occhi, appesantiti
dal triste rimpianto delle chimere assenti.
Dal fondo del suo nido nella sabbia, il grillo,
vedendoli passare, raddoppia la canzone;
Cibele, che li ama, aumenta i suoi prodotti,
fa zampillare la roccia e fiorire il deserto
davanti a quei viandanti, per i quali sta aperto
l’impero familiare delle tenebre future.
Il viaggio
A Maxime du Camp
I
Al fanciullo, appassionato di carte e di stampe,
l’universo appare simile al suo vasto appetito.
Com’è grande il mondo al chiaror delle lampade!
Agli occhi del ricordo com’è rimpicciolito!
Un mattino partiamo, col cervello in fiamme,
gonfio il cuore di rabbia e desideri amari,
e andiamo, seguendo il ritmo delle lame,
che cullano il nostro infinito sul finito dei mari:
gli uni felici di fuggire da una patria indegna,
gli altri dalle loro orrende culle ed alcuni,
astrologhi immersi negli occhi d’una femmina,
dalla Circe tirannica dai rischiosi profumi.
Per non essere mutati in bestie s’ubriacano
di spazio e di luce e di cieli come braci;
ghiaccio che morde, soli che abbronzano
lentamente cancellano le impronte dei baci.
Ma il viaggiatore vero è chi vuole partire
per partire e non evita mai il suo destino,
leggero il cuore come le mongolfiere,
senza un perché, dice sempre: In cammino!
quello i cui desideri prendon forma di nuvole
e che sogna, come un coscritto il cannone,
la vasta voluttà, cangiante e inconoscibile,
di cui spirito umano mai ha saputo il nome.
II
Noi imitiamo, orrore! la trottola e la palla
nei lor valzer e balzi; persino addormentato
la tua Curiosità ti tormenta e ti voltola,
come un astro sferzato da un Angelo spietato.
Singolare destino dove si sposta il fine
e non è in nessun dove, può stare in ogni sito!
Dove l’Uomo, in cui mai la speranza avrà fine,
per trovare riposo corre sempre, impazzito!
L’anima nostra è un cargo in cerca d’Ikaría;
una voce risuona sul ponte: “Occhio sveglio!”
Un’altra, ardente e folle, la coffa ci rinvia:
“Amore…gloria…gioia!” Inferno! è uno scoglio!
Ogni isola avvistata dall’uomo di trinchetto
sembra quell’Eldorado promesso dal Destino;
già l’Immaginazione vi organizza un banchetto,
e trova poi uno scoglio, al chiaror del mattino.
O povero amante delle terre chimeriche!
Dobbiam ridurlo in ceppi, buttarlo in fondo ai mari,
marinaio ubriaco, inventore di Americhe
il cui miraggio rende i gorghi più amari?
Così è del vagabondo che, nel fango col piede,
col naso in aria, sogna paradisi preclari,
il suo occhio stregato Capua sempre vede
ovunque una candela un tugurio rischiari.
III
Strani viaggiatori! quante nobili storie
vi leggiamo negli occhi, profondi come il mare!
Mostrateci gli scrigni delle ricche memorie,
gioielli meravigliosi, fatti di astri e di etere.
Chiediamo dei viaggi senza vapore né vela!
Per scacciare la noia di queste prigioni fate
passar sui nostri spiriti, tesi come una tela,
le memorie, entro i loro orizzonti inquadrate.
Dite, che avete visto?
IV
“Abbiamo visto gli astri
e le onde, abbiamo visto anche spiagge sabbiose
e spesso, pur fra scontri e imprevisti disastri,
ci siamo annoiati come nelle nostre case.
La gloria del sole sopra il mare violetto,
la gloria delle città nel tramonto del sole
accendono nei cuori il desiderio inquieto
di tuffarsi nel cielo dal riflesso incantevole,
ché i più vasti paesaggi, le più ricche città,
mai hanno contenuto gl’incanti misteriosi
di ciò che il cielo stesso con le nuvole fa.
La brama ci rendeva eterni pensierosi!
- Il godimento aggiunge alla brama la forza.
Brama, vecchia pianta, cui gioia fa da ingrasso,
via via che cresce e indurisce la tua scorza,
voglion vedere i rami il sole più da presso!
Continuerai a crescere, grande albero vivace
più del cipresso? -Comunque con solerte mano
tracciammo schizzi per il vostro album vorace
fratelli per cui è bello ciò che vien di lontano!
Abbiamo salutato idoli proboscidati,
troni trapunti di gioielleria luminosa,
palazzi con tal magica pompa lavorati
che per le vostre banche sarebbe rovinosa,
costumi che sono per la vista un’ebbrezza,
donne con le unghie e coi denti dipinti
e giocolieri saggi che il serpente carezza
V
E poi e poi ancora?
VI
“O fanciullesche menti!
Per non dimenticare la cosa principale
ovunque abbiamo visto, senza averlo cercato
dall’alto fino al basso della scala fatale
il noioso spettacolo dell’eterno peccato:
la donna, schiava vile, orgogliosa e stupida,
senza riso si adora e si ama senza vergogna,
l’uomo, tiranno goloso, osceno, duro e cupido,
schiavo della schiava e rivolo nella fogna;
il boia sghignazza, singhiozza il condannato,
la festa che il sangue profuma e condisce,
il tiranno dal veleno del potere snervato
e il popolo amante della frusta che abbrutisce;
molte religioni alla nostra assimilabili,
voglion tutte scalare il cielo; la Santità,
come in letti di piume si cullano i sensibili,
in letti di chiodi e di crine cerca la voluttà;
l’Umanità ciarliera, ebbra del proprio genio
e, vaneggiante oggi come nel tempo antico,
nella propria furibonda agonia grida a Dio:
“Mio somigliante, mio maestro, ti maledico!”
E i meno sciocchi, fieri amanti della Demenza,
sfuggendo al gran gregge negli stabbi del Destino,
trovano rifugio nell’aura dell’oppio, immensa!
-Tale è del globo intero l’eterno bollettino.”
VII
E’ un’amara lezione che dal viaggio si è tratto!
Il mondo, al giorno d’oggi piccino e tedioso,
ieri, domani, sempre mostra il nostro ritratto:
un’oasi dell’orrore in un deserto noioso!
Partir? Restar si deve? Se puoi restare, resta;
parti se devi. C’è chi corre e chi si acquatta
per ingannare un nemico vigile e funesto,
il Tempo! C’è chi, ahimè! corre all’impazzata,
come l’Ebreo errante e come gli Apostoli,
né cocchio né vascello, a lui non basta nulla
per fuggir quel reziario infame; altri singoli
sanno ammazzarlo senza uscir dalla culla.
Quando ci poserà il suo piede sulla schiena,
noi potremo sperare e gridare: Avanti, avanti!
E come in altri tempi partimmo per la Cina
lo sguardo fisso al largo ed i capelli ai venti,
c’imbarcheremo allora sul mare delle Tenebre
col cuor gioioso di un giovane viaggiatore.
Sentite questa voce affascinante e funebre
che canta: “Per di qua! voi che amate il sapore
del Loto profumato! Qui si può vendemmiare
il frutto miracoloso che il tuo cuore spera;
dalla dolcezza insolita fatevi inebriare
di questo pomeriggio che non ha mai sera!”
Dal tono familiare riconosciamo lo spettro;
i nostri Pilade là tendono a noi le braccia.
“Per ristorare il cuore nuota dalla tua Elettra!”
dice quella a cui un dì baciammo le ginocchia.
VIII
Morte, vecchio capitano, leva l’ancora! è l’ora!
Ci annoia questo paese, o Morte! Ecco, si salpa!
Cielo e mare sono simili ad una tinta nera,
ma i cuori sono gremiti dei bagliori dell’alba!
Versaci quel tuo veleno che ci riconforta!
Vogliamo, tanto ci arde nel cervello un rovo,
affondare nel gorgo, Cielo o Inferno, che importa?
Nel fondo dell’Ignoto per trovarvi del nuovo.
Charles Baudelaire, I fiori del male, Superclassici BUR Milano 2001
testo originale e traduzione a fronte:http://www.millepagine.net/classici/i-fiori-del-male/