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Viaggio al Monte Athos

Creato il 21 agosto 2015 da Patrickc

A piedi nei monasteri del monte santo, in Grecia. Primo capitolo

Se chiudo gli occhi ora che sono tornato posso ancora sentire le melodie austere, vedere con i miei occhi assonnati il luccichio delle icone, le luci delle candele nel buio. Vengono spostate, mi passano davanti, distanti, incorniciate dalle due porte successive che mi separano dal katholikon, l’area più sacra della chiesa, a me proibita. Da quella direzione mi arriva un odore d’incenso. Osservo come un intruso, mi sento così anche nei ricordi, un po’ colpevole. Intuisco — ma non sento — il fruscio delle lunghe vesti dei monaci che si muovono lentamente. Cerco di intravedere una debolezza umana nei loro occhi, un tremolio nella voce mentre compiono gesti che non capisco, riti antichi di una spiritualità che mi sembra di riconoscere e che invece qui sembra distante. Mi riecheggiano in testa lo sguardo e le parole di quel monaco che mi ha avvertito, “non ascoltare il Papa”. E’ una durezza che è rimasta nei miei pensieri, ma non riesce a offuscare tutto il resto: l’accoglienza, il sorriso, l’incontro, le brevi conversazioni. E tutto quello che ho imparato in questo viaggio che ha abbracciato storia, religione, natura. Una natura imponente, selvaggia, maestosa che da secoli fa percepire agli uomini l’infinito. Nei ricordi si sovrappone a queste immagini quel “triangolo nel cielo” che novant’anni fa aveva già stupito Robert Byron. E’ il profilo imponente del monte Athos, che anche nei ricordi continua a guardarmi da grande distanza, come se non avessi mai raggiunto la sua cima. Resta inviolato.

Monte Athos: il monastero di Iviron

Il monastero di Iviron e, dietro, la sagoma del monte Athos (foto di Patrick Colgan, 2015)

Questo dito della penisola Calcidica dove “gli anni si sono fermati” non è poi probabilmente troppo diverso da come era negli anni Venti quando lo scrittore inglese arrivò da queste parti. E più di tutte le immagini che si affollano nei miei ricordi è una sensazione a essermi rimasta, distintamente: l’impressione di essere tornato da un viaggio nel tempo.

Il monastero di Dionysiou

Il monastero di Dionysiou (foto di Patrick Colgan, 2015)

Viaggio al monte Athos: Il monastero di Gregoriou

Il monastero di Gregoriou (foto di Patrick Colgan, 2015)

Viaggio al Monte Athos: Iviron

Nel monastero di Iviron (foto di F. Ferretti, 2015)

Il viaggio al monte Athos

21 luglio – la partenza

La prima parte del viaggio; legenda: verde – in barca; bianco – in bus; rosso – a piedi

Con alcuni amici cullavamo questa idea da 15 anni. Non ricordo come era iniziato. Forse per scherzo, con l’idea di andarci un po’ come punizione da autoinfliggerci, in un luogo un po’ remoto, difficile e soprattutto completamente chiuso al genere femminile secondo un’antica tradizione (che la fa risalire a una richiesta di Maria ai primi eremiti: “Questo è il mio giardino”, poi sancita da una legge). Ma negli anni questo sogno si è radicato, si è strutturato, perché abbiamo approfondito il nostro amore per la Grecia e volevamo vederne anche questo angolo così particolare. E perché è un luogo che parlava di Oriente e ci portava nel cuore di quel mondo ortodosso che ci affascinava tanto. All’inizio dell’anno, quando uno di questi amici mi ha chiamato proponendomi di realizzare assieme questo sogno, proprio nell’anno in cui entrambi ci saremmo sposati, ho detto subito di sì: sei mesi in anticipo come suggeriscono le guide, abbiamo chiesto il diamonitìrion, il permesso per visitare il Monte Athos che ogni giorno viene concesso a solo dieci non ortodossi e a cento di altre confessioni.

Viaggio al monte Athos: l'ufficio dei pellegrini di Ouranoupoli

La fila all’ufficio dei pellegrini di Ouranoupoli la mattina presto per ritirare il Diamonitirion
(foto di Patrick Colgan, 2015)

Il diamonitìrion per il monte Athos

Il diamonitìrion per il monte Athos

E così sono arrivato qui, su di un traghetto in viaggio da Ouranoupoli a Dafni nel cuore della penisola della Repubblica Monastica del Monte Athos con quel permesso tanto desiderato ripiegato dentro a una tasca dello zaino. Ogni tanto lo controllo per verificare che sia tutto a posto. Vediamo emergere dalla foschia e dal mare la grande sagoma, inconfondibile che qui chiamano semplicemente Aghion oros, la montagna santa. Cammineremo e alloggeremo nei monasteri, che abbiamo prenotato per tempo. Penso al futuro, ai prossimi giorni, ma in realtà sono già arrivato, anche se sono ancora sulla nave. Perché ora sono dentro a un altro mondo e lo strano ritmo balneare di Ouranoupoli, un po’ tranquilla località di villeggiatura, un po’ posto di frontiera, un po’ luogo di pellegrinaggio, è già molto lontano: sulla costa le taverne e gli ombrelloni hanno lasciato il posto a monasteri, skiti (un gradino sotto) e kalive, gli eremi, che spuntano fra i boschi e le rocce della costa. E poi c’è la nave, un microcosmo galleggiante: a bordo ci sono solo uomini e si mescolano le varie lingue dei pellegrini. Oltre ai tanti greci ci sono serbi, russi, romeni, bulgari. Fra i passeggeri c’è anche un ragazzo con uno zaino Invicta e un ingombrante trolley. E’ italiano, capiamo subito. Ma è lui ad anticiparci. Poco dopo si avvicina e ci chiede — la prima di molte volte al monte Athos — perché siamo qui. Lui, ci racconta, ha scoperto gli errori del cattolicesimo e si è convertito all’Ortodossia: sta tornando nel monastero dove è stato battezzato.

Viaggio al monte Athos, il traghetto

Il monte Athos dal traghetto (foto di Patrick Colgan, 2015)

Viaggio al monte Athos: il traghetto

In viaggio sul traghetto per Dafni (foto di Patrick Colgan, 2015)

A piedi sul monte Athos

22 luglio – sul sentiero

Viaggio al monte Athos

Sul sentiero, col monte Athos che ci guarda da lontano
(foto, purtroppo sfuocata, di Patrick Colgan, 2015)

Si cammina fra terra e mare, con il caldo che preme sui nostri pensieri. Qui sembrerebbe di essere in un angolo dimenticato, disabitato della Liguria se a volte il sentiero non scendesse dagli scogli, lasciandosi il bosco alle spalle per mescolarsi alla sabbia della spiaggia, se non ci fosse soprattutto quell’enorme “triangolo nel cielo” di duemila metri che ci indica il sud. Orientarsi non sarebbe comunque difficile se il monte non si vedesse: ci sono terra, mare e il profilo della penisola da seguire sulla cartina, realizzata da un austriaco il cui nome qui tutti pronunciano con la riverenza che si riserva alle autorità indiscusse “lo Zwerger”.

Su questi sentieri le gambe faticano, il pensiero corre continuamente alle riserve d’acqua e all’esigua quantità di cibo che portiamo con noi. La fame si fa sentire. Ieri abbiamo dormito al grande monastero di Iviron, e oggi —  il mercoledì è giorno di magro — per colazione ci è stato offerto solo pane raffermo e tè. Ma non si è quasi mai troppo lontani da un monastero dove l’accoglienza è la regola. E infatti il profilo del monastero più piccolo, quello di Stavronikita emerge da tutto questo blu. Ospita un’antica icona di San Nicola e famosi affreschi di Teofane di Creta. Quando siamo a poche centinaia di metri dalla porta esce sotto il pergolato una figura esile e scura, sembra osservarci. Poi rientra. Quando arriviamo, il monaco esce dall’ingresso sorridente: “Welcome”, ci dice in un inglese perfetto. E appoggia un vassoio con due bicchieri d’acqua fresca, alcuni dolcetti, loukum, e due bicchierini di tsipuro, un distillato all’anice anche se sono appena le undici di mattina. Sopra di noi le fresche foglie di vite, davanti a noi il mare. Già ora so che è un momento che non dimenticherò mai. (1- continua)

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Il monastero di Stavronikita, da lontano (foto da Wikimedia commons, di Malenki, licenza creative commons)

Il monastero di Stavronikita

Stavronikita (foto di F. Ferretti, 2015)

Il pergolato di Stavronikita (foto di F. Ferretti 2015)

Il pergolato di Stavronikita (foto di F. Ferretti 2015)

Sotto il pergolato di Stavronikita (foto di F. Ferretti 2015)

Sotto il pergolato di Stavronikita (foto di F. Ferretti 2015)


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