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La penisola è un’importante tappa per milioni di uccelli oceanici e migratori che si annidano sulle scoscese falesie di basalto, per lo più sterne artiche, pulcinella di mare, procellarie, alcidi… Il nostro campo base è ad Arnastapi, in una locanda caratteristica col tetto ricoperto di muschio e in vista del ghiacciaio, che però oggi è coperto da una nuvola dispettosa. Vogliamo fare un po’ di birdwatching e ci incamminiamo per il sentiero che costeggia l’alto delle falesie. Ci appaiono davanti altre persone che camminano con lunghi bastoni e li agitano sopra la testa. Il mistero si svela quando noi, disarmati, veniamo bersagliati da stormi di sterne che difendono le uova che hanno deposto lungo il sentiero. Probabilmente Hitchcock si era ispirato a questo per Gli uccelli.
Arrivati sull’orlo del precipizio guardiamo le pareti verticali coperte di guano e affollate da colonie numerosissime – e chiassosissime – di diverse specie aviarie. La vista toglie il fiato per la bellezza selvaggia, la spuma delle onde che si schiantano alte sulle falesie, le formazioni rocciose, il forte sentore dell’oceano in subbuglio, dove vivono e nuotano le balenottere rostrate – che però non avvistiamo. Nemmeno l’indomani riusciamo purtroppo a intravedere il ghiacciaio, poiché è coperto da una fitta nebbia che non regredisce.
Ci accontentiamo di un lungo giro in auto fino alla costa settentrionale della penisola, dove ammiriamo la forma inconfondibile del Kirkjufell, la montagna cattedrale che sorge isolata circondata da paludi salmastre, sovrastante le aspre colline da cui scendono copiosi ruscelli e cascate. Un paesaggio da saga nordica, soprattutto per i colori lividi del cielo, dell’oceano e il verde quasi fosforescente delle valli.
Vulcani e percorsi di lava. Tornando verso la capitale ci fermiamo ad ammirare il paesaggio lunare dei crateri di Grábrók. E’ verso sera e non c’è in giro anima viva. Questi sono tre crateri spenti che si innalzano di poche decine di metri sulla lava circostante. Il più esteso si erige fino a 53 metri ed è visitabile percorrendo un sentiero che costeggia l’intero bordo da cui si può scendere fino in fondo al bacino, ricoperto di bellissimi ciottoli di lava porosa multicolore, arrotondati, di tutte le misure. Vorrei riempirmene la borsa. E poi cosa ne farei? Meglio lasciarli qui nel loro ambiente: potrebbero sfamare qualche troll…
Meno leggendari, ma forse ancora più favolosi sono i pulcinella di mare, o fratercule, o puffin, uccelli della famiglia degli alcidi dai brillanti colori e dall’aspetto molto buffo. Formano numerosissime colonie su isole disabitate e scogli e costituiscono sia un piatto prelibato per gli esseri umani, sia un’attrazione per i turisti. Prendiamo il traghetto che ci porta un paio di chilometri fuori dal porto di Reykjavík fino a una delle isolette disabitate, Lundey, altrimenti detta Puffin Island. Circumnavigandola, abbiamo l’occasione di osservare questi pulcinella di mare nei nidi coi piccoli, quelli che si tuffano e riemergono con il prodotto della pesca che pende dai due lati del becco come baffi, altri che nuotano, altri che camminano come i pinguini. Insomma, una simpatica esperienza.
Trasvolata del Paese – Dagfinn. Il papà di Inga, Dagfinn, è un ex-pilota dell’aviazione islandese, nonché eroe nazionale per essere riuscito, molti anni fa, a salvare un numero di passeggeri sul suo aereo costretto a un atterraggio di emergenza per guasto tecnico sul Vatnajökull, il più grande ghiacciaio d’Islanda e uno dei maggiori europei. L’aereo trasportava anche un cargo di tessuti, che Dagfinnur distribuì ai passeggeri per proteggerli contro il gelo in attesa dei soccorsi che, a causa del maltempo, arrivarono solo dopo un po’ di tempo. Facciamo conoscenza con questo signore elegante e raffinato sulla settantina, che ci invita a compiere una trasvolata sopra la parte meridionale dell’isola, fino al Vatnajökull (brrr, ebbene sì) su un aereo della sua compagnia. Non è lui ai comandi però. Siamo un po’ sfortunati, perché la giornata è grigia e nebbiosa e riusciamo a vedere ben poco del Paese.
L’Eroe è un appassionato degli aerei prebellici, e in effetti si sta restaurando personalmente uno Spitfire degli anni Trenta, usando i pezzi originali. Ci mostra il suo “tesoro” che si trova nell’hangar dell’aerodromo cittadino. Per ringraziare Dagfinn, lo invitiamo a pranzo in uno dei ristoranti più rinomati della capitale, il þri Frakkar, recensito perfino da Jamie Oliver, lo chef-celebrità numero uno inglese, che lo definisce il migliore della capitale.
Chiesa espressionista Hallgrimskirkja – Giardino di sculture Einár Jónsson. Tenendo a mente le raccomandazioni di Steinúnn, gli ultimi giorni li dedichiamo alla visita dei luoghi artistici di Reykjavík. Innanzitutto la Hallgrimskirkja, la chiesa che pare una colata di lava situata al centro della città e dalla cui cima si può ammirare il panorama a 360°. Essa stessa è visibile da qualsiasi punto della città. Di fronte alla chiesa si erge il monumento a Leif Eriksson, figlio di Erik il Rosso, il vichingo che lasciò la natia Norvegia per fondare due comunità in Groenlandia appena prima dell’anno 1000. Leif fu il primo esploratore europeo a posare il piede sul suolo americano, più specificamente su Terranova. E’ pacifico che per gli Islandesi Cristoforo Colombo sia meno di niente. Quindi Leif Eriksson, oltre ad avere scoperto l’America, è considerato padre della patria. Il bronzo che lo ritrae fu scolpito dall’americano Alexander Stirling Calder nel 1930, più di cinquant’anni prima del completamento della chiesa stessa.
Non lontano, dietro la chiesa si apre un giardino di sculture parte del museo dedicato allo scultore Einar Jónsson (1874-1954). Questo artista usava per lo più intonaco da costruzione anziché creta per modellare le sue creazioni, dato che in Islanda mancava la materia prima. Successivamente alla sua morte molte delle sue opere originali sono state fuse in bronzo ed esposte nel giardino attiguo al museo. Il mondo di Einar è popolato da elfi, angeli, troll, donne bellissime e audaci guerrieri, e soprattutto è presente uno strato di contenuti simbolici che vengono invariabilmente captati, ma non sempre compresi.
Visitiamo poi il museo dedicato ad Ásmunður Sveinsson (1893-1983). La casa originale dello scultore, costruita dall’artista medesimo dal 1942 al 1959 in stile Bauhaus, è diventata museo dove sono esposte le sue opere, con il nome di Ásmunðarsafn. La costruzione ricorda un po’ i lavori di Le Corbusier.
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