Una volta il marinaio Edgar (Ned) Wakeman raccontò al pilota Samuel Langhorne Clemens del suo strambo Viaggio in paradiso; il pilota decise di mettere la storia per iscritto, in modo da sfatare tutti i miti che, anno dopo anno, si sono sommati fino a costruire quella bella, rilassante, piacevole immagine dell’aldilà che una plurimillenaria propaganda religiosa ci ha suggerito. Sulla carta quel marinaio assunse il titolo di “Capitano Stormfield” e quel pilota, nel 1909, firmò il suo scritto con lo pseudonimo di Mark Twain.
Il paradiso è sinonimo di pace eterna, di angeli volanti, di arpe che emettono un suono dolcissimo e sollazzante; nel regno dei cieli vige la repubblica, si può discorrere piacevolmente con profeti, patriachi e santi. Tutti, in quel luogo bellissimo, decidono di essere giovani e di sorridere agli altri, sistemandosi dei luminosissimi riccioli biondi che, soffici, cadono sulle loro spalle alate; ci si può rilassare, ma anche divertire con canti e composizioni. La giustizia è una garanzia e la risposta alle preghiere e alle suppliche segrete del cuore è sempre assicurata in modo appropriato. Il paradiso è felicità eterna, la terra è sofferenza. Adesso vi consiglio di selezionare l’ultimo paragrafo che ho scritto, copiarlo, incollarlo su word e cancellarlo. Fatto? Benissimo. Adesso comprate una copia di Viaggio in Paradiso, leggetela e riscrivete il paragrafo alla luce di quello che Mark Twain ha scritto circa 100 anni fa. Se confrontate le due versioni, otterrete questo: il rovesciamento perfetto di un mondo idealizzato che ci hanno tratteggiato per secoli. Non sapremo mai se il nostro Twain aveva ragione, ma fare un viaggio cartaceo nell’aldilà con lui vale davvero la pena!
Glenda Gurrado
Mark Twain, Viaggio in paradiso, Passigli, 96 pp., euro 7,50
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