Verso est e ritorno, attraverso l’Anatolia. Il secondo capitolo di un viaggio di qualche anno fa nella Turchia sud orientale
Siamo nel punto più meridionale del viaggio, in basso a destra da SanliUrfa verso est
Il mio viaggio del 2005. Quasi 6.000 chilometri fra pullman, taxi collettivi, minibus e autostop
(solo fra Istanbul e Van sono quasi duemila) Mappa realizzata con http://www.scribblemaps.com
Şanlıurfa, o Urfa, non mi sembrò la città più accogliente della Turchia. Ma era solo un’impressione, avrei scoperto con il tempo. Però le pagine della guida mi avevano messo in allerta e creato un clima di inquietudine: cose del tenore “le coppie non sposate non vengono accettate in molti alberghi” (non in stanza matrimoniale comunque), “fate attenzione al caldo soffocante”, “viste le temperature evitate di mangiare la carne”… “attenzione ai ragazzini che vi tirano pietre”. Quest’ultima me la sono inventata, ma avrebbero dovuto inserirla per una delle mie tappe seguenti: non sai mai cosa può capitare nell’est della Turchia. Come se non bastasse, quando avevo provato a prenotare una stanza telefonando (anche chiedendo col mio turco elementare) mi avevano risposto chiaramente che non c’era posto. Lo stesso albergo che risultava tutto pieno aveva poi magicamente trovato posto per me quando arrivai assieme al gruppo partito dalla Cappadocia (vedi capitolo 1). Sono cose così che creano una brutta disposizione, specie se si arriva dopo un lungo viaggio stipati in un minibus senza aria condizionata.
Giardino del Golbasi, Urfa (foto di Patrick Colgan, 2005)
Urfa (quasi) al centro della storia
Forse è l’influenza della vicina Siria, forse è perché qui siamo già in Mesopotamia, ma Urfa è una città particolare perché si sente, percepisce un’atmosfera nettamente mediorientale che non c’è in altre città della Turchia (e sarebbe strano il contrario). E’ un’atmosfera densa, che forse Urfa porta con sé per la sua storia antichissima, millenaria. E’ stata una città sempre vicina a quello che accadeva nella storia, anche se mai davvero al centro. E’ qui secondo la tradizione islamica che sarebbe nato Abramo (anche se Ur di Caldea è ritenuta dagli archeologi in realtà in Iraq), è qui che c’era l’antica Edessa romana (citata in precedenza come Adma già nel settimo secolo avanti cristo), e ancora è a poche decine di chilometri da qui che c’è, al confine con la Siria, Harran città antichissima – oggi poco più di un villaggio -, citata nella Bibbia e luogo dove sorse una delle più antiche università del mondo. Ci si può andare, ci andai, anche se la visita, per quanto bella, è in genere molto turistica. Fu dopo questa escursione che lasciai il gruppo col quale ero arrivato fin qui: ero di nuovo solo.
Urfa non è famosa solo per la sua storia, ma in Turchia anche per il suo cibo. Il kebab in stile locale (simile all’Adana kebab), le melanzane ripiene, le meze (antipasti). Urfa è sinonimo di buon cibo in tutto il Paese, un po’ come parlare della mia Bologna in Italia, o almeno questa era l’impressione che avevo avuto.
Urfa, dal castello
La città vecchia e il bazar di Urfa
La Urfa di oggi ha più volti: estese periferie di palazzi tutti uguali e senza gusto, ma con qualche angolo piacevole, accanto a una città vecchia affascinante e ricca di storia, dominata dalle rovine (nel pieno senso della parola) del castello dove restano due colonne dell’antica Edessa romana e poco più. Il centro della città turistica è il gradevole giardino del Gölbaşı, che si rifà alla tradizione. E’ qui che Abramo, grande profeta per i musulmani, si salvò quando, condannato a bruciare su di una pira venne salvato dall’apparizione dell’acqua sotto di lui. Per questo oggi accanto all’elegante moschea nel parco ci sono due vasche che contengono carpe sacre. Accanto alla moschea al centro del Golbasi, in una grotta, scorre acqua per la quale i pellegrini fanno la fila.
Il luogo più bello della città è però forse il bazar, dove mi ritrovai a camminare in una folla colorata e per me indecifrabile. E’ qui che scoprii una delle bellezze di questa città: la gente. Si mescolavano turchi, arabi, curdi e altri popoli ancora provenienti dall’asia centrale e da sud: ognuno con abiti diversi, aspetto diverso, colore diverso. Sarei rimasto ore su una panchina a guardare questo mescolarsi, a cercare di capire qualcosa che mi sfuggiva. Ma era bello così, senza capire.
Il bedestan (caravan serraglio) al centro del bazaar
(foto di Damian Entwistle, da Flickr
http://www.flickr.com/photos/damiavos/
creative commons attribution non-commercial)
Il bazar di Urfa era affollato, labirintico e soprattutto vero. Conteneva merci di ogni tipo, ma ospitava anche animali, artigiani al lavoro. Passeggiando ci si faceva investire e stordire da colori, profumi, suoni, rumori, dalle scintille di un fabbro che lavorava battendo il ferro sull’incudine, prima di arrivare nella quiete dell’han, l’antica corte al centro dove sedersi e prendere un tè.
Questa è però una zona particolare, da molti anni al centro di tensioni territoriali e di rivendicazioni della popolazione di etnia curda (che nell’est della Turchia è spesso la maggioranza) che non gode di alcuna autonomia. Me ne ricordai all’improvviso in autostazione, mentre cercavo un bus per Mardin. Vedevo folle che danzavano, gruppi festanti, in mezzo a un chiasso di musica e tamburi. che ‘abbracciavano’ letteralmente i bus in partenza, mentre ragazzi che si sporgevano dai finestrini salutavano, stringevano mani. Scattai da lontano qualche foto e in un attimo venni circondato da persone che mi chiedevano cosa stessi facendo. Il nervosismo durò pochi secondi, tanto bastò per capire che ero un turista.
A spiegarmi con poche parole, fra turco e inglese, cosa stava succedendo, fu un impiegato della compagnia dei bus: c’erano dei giovani che partivano per il servizio militare e venivano salutati con una festa. E io ero stato scambiato per una spia, non so di che tipo o al soldo di chi, non indagai oltre. Quell’impiegato mi accompagnò fino alla fermata che… non c’era. Su uno stradone, avrei dovuto fermare il grande bus diretto a est.
A Mardin
Vista da Mardin, foto da Flickr
(di Hg80eve http://www.flickr.com/photos/110236085@N04/ cc-attribution non commercial)
Siamo a un’ora di bus da Urfa, al confine sud est della Turchia: Mardin è una città antichissima (scavi archeologici hanno trovato resti dal 4.000 A.C.) al confine con la Siria. Il bus mi scaricò in una piazza moderna e trafficata e non capivo dov’era la città dalle vie strette e ripide di cui avevo letto sulla guida, di cui avevo sentito parlare come di un gioiello. Poi mi indicarono un punto in alto: la città vecchia era su un’altura, dominata dalle rovine di un castello e mi dovetti arrampicare sotto un sole feroce su una serie di tornanti che mi sembrò infinita. Mi feci coraggio ripetendomi che arrivati in cima si viene spesso ripagati della fatica e quella scarpinata non fece eccezione.
Si domina la pianura come sospesi su una nuvola
Mardin vecchia non ha una forma vera e propria né bellezze da cartolina. La sua bellezza è nella posizione: si domina, come se si fosse sospesi su di una nuvola, una pianura infinita, che si perde all’orizzonte in Siria. Poi si scopre che a Mardin per le strette vie si incrociano musulmani devoti e preti, arabi e curdi. Si finisce in un bazar animato e pieno di colori prima di infilarsi nelle chiese siriache o nelle splendide moschee, una del 1199 – la Ulu Camii – una del 1312, la Latifye Camii. Poi, ancora, si scopre una cucina ricca di sapori mediorientali e diversissima da tutte le altre. Sarei dovuto restare tre, quattro giorni. I dintorni, col monastero di Deyrul Zafran e quello di Mar Gabriel (del IV secolo!) fuori città – luoghi dove poco dopo Paolo Rumiz sarebbe venuto a cercare gli ultimi cristiani d’Oriente - o ancora Hasankeyf, città e splendido sito archeologico adagiati lungo il Tigri e minacciati dal progetto di una diga, meritavano tempo e pazienza. Io però non lo avevo, e dovevo ripartire. Ripartii a malincuore, ma in cuor mio non avevo rimpianti: ero sicuro che un giorno sarei tornato.
Vista da Mardin (Foto di Patrick Colgan, 2005)
Vista da Mardin (Foto di Patrick Colgan, 2005)
Post precedenti
Viaggio nell’est della Turchia 1 - Dalla Cappadocia al monte nemrut
- continua
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