Quando non ero che un ragazzino che andava al liceo sognavo di andare a studiare a Bologna. La città universitaria emiliana per eccellenza mi ammaliava con i suoi portici carichi di fascino e di storia, la sua vita notturna un po’ balorda e quella popolazione studentesca dall’aria trasandata ma sempre pronta a lottare per qualche giusta causa. Poi invece sono finito a Verona e di Bologna ho conservato il mito della lotta e dell’eversione.
Bologna la Rossa, come i suoi mattoni e come le bandiere che spesso campeggiano nelle piazze e davanti alle sedi universitarie, continua ad alimentare una corrente di pensiero e di ideali in cui i giovani delle ultime generazioni si sono rimescolati per confrontarsi con i temi vitali della società contemporanea, dalla cultura alla politica, passando per ambientalismo, arte, guerra, economia e occupazione. Damiano Cason, studente di filosofia nonché uno dei fondatori del collettivo studentesco Bartleby, al liceo era il mio compagno di banco. Ora è l’ultimo contatto rimastomi nel capoluogo emiliano e quindi si è dovuto far carico della mia presenza quando sono andato a mettere il naso nell’ambiente dei movimenti studenteschi bolognesi.
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Bartleby non è che uno dei tanti collettivi dell’università cittadina. Concentra i suoi sforzi sopratutto sulle politiche legate alla cultura e all’educazione – che devono essere libere e di tutti – ed è emerso di recente nelle cronache locali per aver raccolto un notevole sostegno tra la popolazione universitaria ed essere riuscito in più occasioni a resistere allo sgombero degli spazi occupati. I membri del collettivo organizzano riunioni e dibattiti sui temi a loro cari – mentre io ero in visita stavano sollevando l’opinione pubblica locale che si sarebbe espressa in un referendum contro i finanziamenti statali alle scuole private – e si autofinanziano organizzando concerti e spettacoli.
Il nome del collettivo deriva da un racconto di Herman Melville, in cui l’omonimo scrivano di un avvocato di Wall Street improvvisamente si rifiuta di fare il suo lavoro e risponde continuamente “preferirei di no”. Bartleby è il simbolo di una società alienata e straniante, e il collettivo di Bologna lo rievoca nella sua lotta contro i poteri che contribuiscono a questa alienazione. Per farlo partono da uno spazio, un luogo di incontro, confronto e riflessione. Nel 2009, quando in tutta Italia l’Onda studentesca si è sollevata contro l’allora Ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini, i fondatori di Bartleby hanno occupato un edificio inutilizzato e hanno dato vita al collettivo. L’edificio era di proprietà dell’Università di Bologna, che è tra i più grossi proprietari immobiliari della città e possiede molti edifici inutilizzati. Si è aperto uno scontro e dopo vari tentativi di sgombero l’università ha concesso al collettivo la sua seconda sede con un bando di due anni. Al momento di rinnovare il bando, però, le istituzioni si sono rifiutate di trattare con Bartleby e si è tornati all’occupazione. Nel gennaio del 2013, approfittando di una perdita di forza del movimento, un nuovo sgombero ha costretto il collettivo a cercare una nuova sede, finché nei mesi recenti l’università non ha concesso una piccola auletta all’interno della Facoltà di Lettere.
Oggi gli studenti di Bartleby e degli altri collettivi godono dell’appoggio di artisti, studiosi e intellettuali locali – tra cui i famigerati Wu Ming molto attivi nel cyberspazio – ma continuano a vivere con tensione il rapporto con le autorità: una tradizione che risale agli anni settanta, quando le terribili verità sul blocco sovietico hanno portato una parte consistente del popolo delle sinistre a rompere con i partiti e a organizzarsi in movimenti politici autonomi.
Bologna continua a essere animata dalle azioni di protesta e di campagna civile di questi movimenti. Luoghi simbolo di questa vivacità sono alcune aree della città, come Piazza Giuseppe Verdi, sempre ingombra di studenti seduti per terra e spesso teatro di comizi e assemblee; i cinema dove vengono proiettate le pellicole di cineasti indipendenti; le sedi dei collettivi sparse per gli ambienti universitari; e naturalmente i centri sociali, come l’XM24 nell’ex mercato di via Fioravanti, il più longevo di Bologna. Qui l’esponente di spicco dell’arte di strada noto come Blu ha realizzato un’opera imponente sul muro esterno dell’edificio, per dimostrare il suo appoggio e celebrare gli sforzi dei vari movimenti.
Passeggiando con Damiano per Bologna ho pensato spesso a cosa ne sarebbe stato di me se anziché a Verona avessi studiato nel capoluogo emiliano. Ho cercato di capire come la pensano questi ragazzi che ogni giorno organizzano, promuovono, contestano e informano. La vita dell’attivista non fa per me – mi considero un solitario e già faccio fatica a condividere una cabina del treno – e non sono in grado di dire quanto questi studenti abbiano ragione nei contenuti e nei metodi che hanno adottato. Però fa bene sapere che c’è ancora qualcuno che crede in qualcosa.
Flavio Alagia
Dopo una laurea in giornalismo a Verona, mi sono messo lo zaino sulle spalle e non mi sono più fermato. Sei mesi a Londra, un anno in India, e poi il Brasile, il Sudafrica… non c’è un posto al mondo dove non andrei, e non credo sia poco dal momento che odio volare. L’aereo? Fatemi portare un paracadute e poi ne riparliamo.
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