La presenza della donna nel mito è forte, dee eroine e ninfe generatrici, portatrici di “tecniche”, maghe e guaritrici, più di un migliaio. Una femminilità polimorfa, molteplice, con attributi che secondo la logica attuale possono anche apparire contraddittori. Un cosmo sessualizzato in grado di generare se stesso e i viventi, dove il femminile compare nelle prime tracce della vita umana. Le statuette del paleolitico ne raffigurano a iosa, tanto che alcuni studiosi parlano di società di tipo matriarcale, che non va intesa come la proiezione diretta di una realtà sociale di predominio femminile, quanto piuttosto come la rappresentazione polisignificante del tema del rapporto fra i sessi in vista di fini diversi, in una sostanziale intercambiabilità dei ruoli.
Le comunità umane preistoriche erano onnivore, si assicuravano la sopravvivenza essenzialmente con la raccolta di frutti bacche ed erbe, poca caccia e pesca prevalentemente al nord, con mezzi semplici. Praticavano una vita nomade e le donne rivestivano oltre al ruolo di “raccoglitrici”, l’aspetto della riproduzione sociale, in un rapporto di parità tra i sessi. Ci siamo evoluti così, come erbivori, le cui caratteristiche anatomiche ci accomunano: bocca piccola, colon a sacche, dentizione che non trancia/tritura e mastichiamo.
A partire dal VII millennio, con la stanzialità e l’allevamento del bestiame, aumentò il numero dei figli e mutò la divisione del lavoro. Anche se, come pare probabile, l’agricoltura venne ideata e introdotta dalle donne, che avevano dimestichezza con il mondo vegetale, furono gli uomini ad assumerne il controllo, come anche sulla proprietà dei suoli, e degli animali, dalla cui osservazione in cattività, il maschio umano capì il proprio ruolo nella riproduzione, interpretandolo come dominante.
Anche la “magia” pian piano sembra sfuggire al loro controllo e in circa 3.000 anni i ruoli si differenziarono sempre più marcatamente fino a che la donna non si trovò gradualmente emarginata dalle attività economiche principali e si dedicò quasi esclusivamente alla procreazione, all’artigianato, e a quello che oggi chiameremmo “terziario”. Nell’età del ferro il processo di una società patriarcale fu compiuto e radicato, e le donne si avviarono a una lenta e grave emarginazione.
Escludendo le epoche preistoriche quindi, nella quasi totalità delle formazioni economico-sociali, il ruolo della donna è stato di netta subordinazione alle varie forme di autorità, quasi mai protagonista. In particolare l’esclusione delle donne dalla vita politica, dall’istruzione, e dalla creazione artistica, ha determinato una contrapposizione tra ruoli femminili e poteri, saperi e tecniche, riservate agli uomini. Confinate negli ambiti della civiltà materiale in cui si adoperavano tecniche povere, dove non c’erano particolari ricchezze, né ruoli di prestigio, le donne a fronte di un contributo determinante alla vita economica e familiare quotidiana della comunità, erano indotte e costrette alla mera sottomissione all’autorità in tutte le sue forme: dal Re al Sacerdote, dal Padre allo Sposo.
La storia delle donne in occidente quindi – ma anche altrove il cammino si è più volte interrotto o prosegue a stento – è interpretabile come la storia della graduale, lenta ma incessante, scomparsa delle barriere frapposte tra le donne e le forme di autorità (religiosa, pedagogica, economica, artistica, politica, scientifica). Questo processo parificante, in cui le donne hanno potuto ri-ricoprire ruoli sempre più incisivi sulla vita associativa e che ha portato le donne a interiorizzare e mutuare ruoli e competenze pensate in origine per il genere maschile, si è unito ad un processo di differenziazione di genere , che ha condotto le donne a mettere in gioco concezioni dell’autorità diverse da quelle tradizionali. La visione dell’autorità è modellata sul Padre, il capo della tribù, della famiglia, della milizia, del culto.
Ad osservare i contributi teorici del pensiero femminile nella sua storia, invece, sembra di poter individuare, in modo latente ma costante, l’emersione di un altro concetto di autorità, a cui forse sarà necessario trovare un nome: un concetto concreto e terreno, non neutrale o formale, un’autorità vincolata a valori, ovvero “differenziata”.
Il rapporto tra donne e sapere, un sapere in cui nelle varie epoche il predominio maschile è stato pressoché totale, è perciò uno dei fili da seguire per rintracciare il percorso di una rivoluzione ancora oggi, a livello planetario, solo parzialmente compiuta.
Riferimenti bibliografici:Margaret Ehrenberg “La donna nella preistoria”, Mondadori, Milano 1992
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Michel Foucault “L’ordine del discorso” Einaudi, Torino 1972
juliet Mitchel “La condizione della donna”, Einaudi, Torino 1972
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J. M. Masson “Chi c’è nel tuo piatto? Tutta la verità su quello che mangi” Cairo ed. Milano 2009