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viaggioafrica/2

Creato il 01 aprile 2011 da Angel

“L’ alba arriva quasi come una ferita inferta nel cuore della nuova terra. Una motovedetta ci prende in consegna, scortandoci in prossimità del porto. Si preannuncia una timida giornata di sole, con un grecale che fa di noi tanti fuscelli spazzati via dall’ aria gelida, tremolanti. Un ufficiale dal molo detta astruse disposizioni nella sua lingua; noi non capiamo. Perchè prima dei suoni alle nostre orecchie giunge il suono della paura, della diffidenza, del rancore, della stanchezza. L’ attracco ci schiude i volti formali di guardie, medici e infermieri. Indossano tutti una mascherina bianca. Per proteggersi dalle nostre malattie infettive. Sulla nostra pelle rechiamo le cicatrici della  miseria, della denutrizione e del fisico cagionevole. Le autorità preposte ci dividono in gruppi di quattro. Ci chiedono documenti. Ma non ne abbiamo. Molti sono falsi. Altri ci sono stati rubati alla partenza. Non esistiamo per questa gente. Siamo corpi estranei che a malapena si muovono e assumono una parvenza reale. Al nostro pietoso sbarco prendono parte un centinaio di persone del posto. Nei loro occhi leggo la diffidenza, il senso di fastidio misto ad imbarazzo. Noto subito, mentre pigio con forza i residui del mio dattero, che questa gente è vestita bene, quasi elegante. Indossano occhiali da sole, orecchini, belle maglie colorate. Cosa abbiamo in comune con loro? E’ la domanda che mi assilla non appena incrocio i loro sguardi. Faccio a me stesso questa domanda con insistenza. Non mi accorgo che, intanto, la lunga fila presso lo stand di medici e sanitari si sta smaltendo e tra poco sarà il mio turno. Dietro il banco siede un uomo sulla quarantina, barba curata e capello folto. Con un pennarello segna sul mio braccio una crocetta nera. Infila al mio polso un bracciale fosforescente e avanti il prossimo. Quel marchio distintivo era per i soggetti ammalati di tifo e scabbia. Dei primi giorni in questa terra remota,  ricordo i continui conati di vomito e l’ endemico stato febbricitante. Del luogo che ci “ospita” ho fatto appena in tempo a vedere il molo e poche case, poichè da tre giorni sono inchiodato al letto in una grossa tenda militare. I giorni scorrono monotoni. I medici si prendono cura di me, avvicendandosi al mio capezzale. I loro sguardi non portrò mai più dimenticarli.”  <<<continua>>>



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