Tra il film del Concorso, che da parecchio tempo a Berlino è la cosa più debole, segnato com’è, da un lato, dall’impossibilità di avere grandi film in anteprima (ormai tutti razzolati da Cannes, Venezia e Toronto) e, dall’altro, dal tentativo di fare il colpo grosso, spesso puntando su un cinema didascalico e politico, il solo titolo curioso e bello visto finora, considerando che Before Midnight è più interessante che bello, è il canadese Vic + Flo ont vu un ours di Denis Côté. L’ho visto due giorni fa, non ne ho scritto prima perché non ne ho avuto il tempo ma anche perché non avrei saputo bene cosa scrivere, tanto il film è un oggetto curioso e indefinibile, un po’ grottesco e un po’ iperrealista, rabbioso ma pure tenacemente attaccatto alla vita. La storia è quella Victoria, una sessantenne in libertà condizionata che ottiene il permesso di tornare a vivere nella vecchia casa di campagna dove è cresciuta. Lì vi abitano lo zio paraplegico, il giovane vicino di casa che lo assiste e il fratello. Dopo la partenza di quest’ultimo, Vic viene raggiunta dalla sua compagna Florence, una quarantenne bisessuale che fatica a trovare un posto nel mondo e si porta dietro segreti che finiranno per sfociare in tragedia. Messa così sembra un noir, cosa che in effetti Vic + Flo ont vu un ours potrebbe essere. Ma allo stesso modo potrebbe essere un melodramma, o una commedia, o ancora un dramma sul tentativo di rifarsi una vita. Nel generale clima di cinismo e ironia, talvolta di cazzeggio, ci sono pure dei momenti toccanti, specie nelle scene in cui le due donne e incontrano l’agente di sorveglianza di Vic, un omosessuale che si prende a cuore la loro situazione. La cosa bella del film, l’aspetto che lo rende un prodotto libero e modernista, lontano per una volta dall’ansia del cinema contemporaneo di darsi un senso, anche in riferimento a se stesso e alle proprie potenzialità (cosa che, intendiamoci, a me piace un sacco e di cui qui sopra parlo spesso – tipo ieri per Before Midnight), è che a Côté interessa voler bene ai suoi personaggi, raccontare i loro volti e le loro motivazioni, come se fossero alieni piombati sulla terra e in attesa di sapere cosa fare delle loro vite. Nonostante il passato le perseguita e le condanni, Vic e Flo sono personaggi puri, liberi, e per questo facili da amare o compatire. In loro c’è qualcosa di profondamente toccante e autentico, come se fossero due figurine fuori contesto, ritagliate da qualche pagina di giornale e incollate con poca grazia sullo sfondo piatto dell’infinita campagna canadese (siamo nel Quebec, e ovviamente tutti parlano un francese da denuncia). L’immagine finale del film, che arriva in modo toccante e spaventosamente violento, purtroppo per loro le inchioda letteralmente al terreno, costringendole a prendere una forma che non le appartiene. Vic e Flo, nell’abbinamento del loro nome, nel legame indefinito che le caratterizza, nel loro sostanziale indefinitezza, ricordano le Celine e Julie di Rivette che a loro tempo invece di vedere gli orsi andavano sul battello, ma erano mosse dallo stesso stupore verso la realtà. In Rivette c’era una dimensione magica a sottendere ogni gesto e ogni avvenimento (quanto era bello quel bicchiere che si spezzava all’improvviso, e di scatto la reazione di Celine) , qui invece c’è una violenza improvvisa e spietata, quasi plastica, che soffoca la vita e i desideri. E Vic e Flo diventano fantasmi per poter continuare a vivere.
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Tra il film del Concorso, che da parecchio tempo a Berlino è la cosa più debole, segnato com’è, da un lato, dall’impossibilità di avere grandi film in anteprima (ormai tutti razzolati da Cannes, Venezia e Toronto) e, dall’altro, dal tentativo di fare il colpo grosso, spesso puntando su un cinema didascalico e politico, il solo titolo curioso e bello visto finora, considerando che Before Midnight è più interessante che bello, è il canadese Vic + Flo ont vu un ours di Denis Côté. L’ho visto due giorni fa, non ne ho scritto prima perché non ne ho avuto il tempo ma anche perché non avrei saputo bene cosa scrivere, tanto il film è un oggetto curioso e indefinibile, un po’ grottesco e un po’ iperrealista, rabbioso ma pure tenacemente attaccatto alla vita. La storia è quella Victoria, una sessantenne in libertà condizionata che ottiene il permesso di tornare a vivere nella vecchia casa di campagna dove è cresciuta. Lì vi abitano lo zio paraplegico, il giovane vicino di casa che lo assiste e il fratello. Dopo la partenza di quest’ultimo, Vic viene raggiunta dalla sua compagna Florence, una quarantenne bisessuale che fatica a trovare un posto nel mondo e si porta dietro segreti che finiranno per sfociare in tragedia. Messa così sembra un noir, cosa che in effetti Vic + Flo ont vu un ours potrebbe essere. Ma allo stesso modo potrebbe essere un melodramma, o una commedia, o ancora un dramma sul tentativo di rifarsi una vita. Nel generale clima di cinismo e ironia, talvolta di cazzeggio, ci sono pure dei momenti toccanti, specie nelle scene in cui le due donne e incontrano l’agente di sorveglianza di Vic, un omosessuale che si prende a cuore la loro situazione. La cosa bella del film, l’aspetto che lo rende un prodotto libero e modernista, lontano per una volta dall’ansia del cinema contemporaneo di darsi un senso, anche in riferimento a se stesso e alle proprie potenzialità (cosa che, intendiamoci, a me piace un sacco e di cui qui sopra parlo spesso – tipo ieri per Before Midnight), è che a Côté interessa voler bene ai suoi personaggi, raccontare i loro volti e le loro motivazioni, come se fossero alieni piombati sulla terra e in attesa di sapere cosa fare delle loro vite. Nonostante il passato le perseguita e le condanni, Vic e Flo sono personaggi puri, liberi, e per questo facili da amare o compatire. In loro c’è qualcosa di profondamente toccante e autentico, come se fossero due figurine fuori contesto, ritagliate da qualche pagina di giornale e incollate con poca grazia sullo sfondo piatto dell’infinita campagna canadese (siamo nel Quebec, e ovviamente tutti parlano un francese da denuncia). L’immagine finale del film, che arriva in modo toccante e spaventosamente violento, purtroppo per loro le inchioda letteralmente al terreno, costringendole a prendere una forma che non le appartiene. Vic e Flo, nell’abbinamento del loro nome, nel legame indefinito che le caratterizza, nel loro sostanziale indefinitezza, ricordano le Celine e Julie di Rivette che a loro tempo invece di vedere gli orsi andavano sul battello, ma erano mosse dallo stesso stupore verso la realtà. In Rivette c’era una dimensione magica a sottendere ogni gesto e ogni avvenimento (quanto era bello quel bicchiere che si spezzava all’improvviso, e di scatto la reazione di Celine) , qui invece c’è una violenza improvvisa e spietata, quasi plastica, che soffoca la vita e i desideri. E Vic e Flo diventano fantasmi per poter continuare a vivere.
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