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Vicaria

Creato il 10 febbraio 2015 da Fedetronconi

“Napoli aveva questo di bello: che tutto era acquistabile, tutto era contrattabile. La menzogna, la vita, la morte, la parola fraudolenta, quella d’onore, il silenzio. Il silenzio che trovava nella morte la sua migliore custodia.”

Mi sono arresa a questo libro con straordinaria naturalezza. Mi è entrato sotto pelle, dentro gli occhi, nelle orecchie. “Vicaria” è un luogo. Un luogo ricco di storie, di pezzi di vite nascoste. E chissenefrega del caldo che fa!

Vicaria

Napoli 1840. Piena di contraddizioni, di perfezioni che spaventano, di rumori che ammutoliscono. Un giovane commissario, da poco assegnato al quartiere Vicaria, si trova per una serie di circostanze ad indagare sulla scomparsa di un bambino, uno dei tanti ospiti dell’Albergo dei Poveri. Una struttura nata con intenti caritatevoli che accoglie orfanelli, militari, uomini e donne “perduti”, ma divenuta nel tempo un vero e proprio carcere, un “serraglio” appunto, da cui è impossibile scappare. L’assenza di Antimo sarebbe passata inosservata come molte altre se non fosse stato per l’ufficiale Fiorilli. Ben diverso dai suoi colleghi corrotti e corruttori, Gioacchino Fiorilli è un uomo privo di personalismi, con un altro senso del dovere e del rispetto della legge. L’indagine svelerà, anche se a caro prezzo, l’amaro segreto che il piccolo Antimo era destinato a portare via con sé. Ed è’ proprio la piazza della Vicaria, dove la speranza dei napoletani convive con il potere delle grandi istituzioni, dove la malavita e l’assenza di moralità si mescolano con quell’umanità pulsante piena di contraddizioni, che mostrerà a Fiorilli quanto la vita possa sembrare a volte una scommessa assurda! E la città sembra d’un tratto estranea, vuota, ancora più buia e sola. Diventa passato che piange, presente che chiede, futuro che manca. La determinata caparbietà della giovane Emma, insegnante al Reclusorio, la fedeltà del suo sottoposto Pennariello, l’amore per la famiglia, diventano per lui come quella musica che ti pare di sentire in sottofondo quando il cielo comincia a diventare nero e i lumi alle finestre si accendono e sembrano le prime stelle: speranza, riscatto, l’alternativa ad una realtà di soprusi, abusi e miseria. Una luce che prova a vincere su tutta quell’oscurità.

La lettura ti porta lontano…ti porta oltre, mentre ti scorticano le parole e ti scorticano i silenzi, ti ritrovi a passeggiare per sentieri sconosciuti e ti stupisci ad ogni angolo voltato. Ma alla fine lo trovi, il senso…alla fine la trovi la strada in quel bosco così intricato e difficile. Quante riflessioni. Quante immagini. Un libro che non denuncia ma evoca, rappresenta. In una Napoli dove il mare sembra non esserci, eppure sta lì, a tenere il passo con le tempeste che urlano in quelle stesse pagine. Arrivi alla fine ed hai bisogno di fermarti, di prenderti del tempo, un tempo per le riflessioni, per vivere in intimità quegli scorci rubati alla vita. Un libro che fa pensare alle mancanze speciali e alle presenze indispensabili; alle ferite, che non sono eterne perché eterni sono gli occhi di chi le cura e che non se ne andranno mai; a tutte le volte che impariamo a convivere con le nostre ombre, credendoci distanti quando invece siamo vicini. Improvvisamente è come se gli “è troppo tardi” diventassero “c’è ancora tempo”, come se gli “è ancora presto” diventassero “è il momento giusto”, come se dopo tutto, nonostante tutto, sentissi meno male…anche se non è così. Tutto è pieno, a volte veloce e frenetico, altre lento ed incontenibile. Tutto scorre e tutto rinasce, perché l’amore di vita non si sazia mai. Un libro a cui vorresti poter dare la mano, perché alle cose belle ci si aggrappa!

Recensione a cura di

ELENA LUCENTE

Vicaria

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