di Gaetano Vallini
«A volte si può vivere senza conoscere i vicini di casa: questo non è vivere da cristiani». Un semplice tweet — lanciato il 14 settembre dall’account @Pontifex — e Papa Francesco inchioda tutti di fronte a una realtà inequivocabile: l’indifferenza che caratterizza troppo spesso i rapporti quotidiani tra le persone. Un “cinguettio” che non è passato sotto silenzio, seppure preceduto da quelli più incalzanti che invitavano alla preghiera per scongiurare un allargamento del conflitto in Siria, e che comunque a questi era collegato, se è vero che la pace nasce già dai piccoli gesti di ogni giorno.Il tweet sembra in qualche modo richiamare un aspetto di quella globalizzazione dell’indifferenza di cui il Papa aveva parlato a Lampedusa. Una chiosa che va oltre il problema specifico dell’accoglienza di migranti e profughi, e che si richiama anche alla meditazione che il Pontefice ha fatto sabato 7 settembre durante la veglia per la pace: «Gli umani, fatti ad immagine e somiglianza di Dio, sono un’unica famiglia, in cui le relazioni sono segnate da una fraternità reale non solo proclamata a parole: l’altro e l’altra sono il fratello e la sorella da amare, e la relazione con Dio che è amore, fedeltà, bontà, si riflette su tutte le relazioni tra gli esseri umani e porta armonia all’intera creazione. Il mondo di Dio è un mondo in cui ognuno si sente responsabile dell’altro, del bene dell’altro».
Ciascuno può facilmente verificare di persona la verità contenuta nel tweet del Papa. Forse nei piccoli centri le cose vanno meglio, perché ci si conosce un po’ tutti. Ma nei condomini delle città il contatto umano sembra un fattore marginale. Gli ascensori sono diventati spazi dove si deve condividere, forzatamente e con fastidio, un sia pur breve lasso di tempo, scambiandosi frasi il più delle volte banali, i pianerottoli luoghi per saluti tanto fugaci quanto di circostanza, le porte d’ingresso barriere in difesa di una legittima privacy ma che finiscono con l’impedire i rapporti tra le persone.
Una volta a casa, viviamo in una sorta di permanente chiusura in cui sembra contemplato solo l’incontro casuale. Si è sempre sulla difensiva. Si ha paura di aprirsi. Forse perché prima ancora che indifferenti si è diffidenti verso l’altro. Una diffidenza che spesso non lascia aperti spiragli per la benché minima conoscenza.
Non si tratta soltanto di timidezza o di diritto alla riservatezza, ma di voler mantenere una rassicurante distanza di sicurezza da qualcosa che viene vissuta come un’intrusione se non addirittura come una minaccia. Alimentando tensioni spesso eccessive e talora atteggiamenti aggressivi.
Del resto le controversie tra vicini sono tutt’altro che rare. E non mancano, purtroppo, notizie di liti fra condomini o vicini di casa finite in tragedia. Casi estremi, certo, ma sintomo del malessere di una società sempre meno capace di confrontarsi serenamente perché sempre meno in grado di trovare modi di incontro, di dialogo e quindi di conoscenza. L’egoismo fa chiudere in se stessi e impedisce di vedere l’altro, di riconoscerlo come persona e di riconoscere le sue ragioni.
E così è sicuramente più facile la strategia del semplice saluto di cortesia: salvaguarda il galateo e mette in pace con la coscienza. Ma i cristiani, ricorda Papa Francesco, sono chiamati ad andare oltre le semplici norme di buon vicinato. Sono chiamati a farsi prossimi. E di fronte alla ritrosia, alla scontrosità o alla semplice timidezza dovrebbero comunque impegnarsi a compiere il primo passo. Perché dietro a una porta chiusa a volte si celano drammi, situazioni di disagio, solitudini che restano sconosciute per imbarazzo, vergogna o timore, e che si consumano nel silenzio e nell’indifferenza. In quelle periferie esistenziali, tanto care al Pontefice, che non sono poi così lontane da noi, alle quali anzi a volte contribuiamo con la nostra superficialità, e che chiedono solo un po’ di coraggiosa attenzione.
Bisognerebbe ricordarsi di un altro brano della meditazione della veglia, quando il Papa ha ripetuto la domanda «sono forse io il custode di mio fratello?» che Caino rivolse a Dio: «Sì, tu sei custode di tuo fratello! Essere persona umana significa essere custodi gli uni degli altri!» è stata la sua risposta. Papa Francesco chiede di attraversare la strada, di scendere o salire una rampa di scale, di superare un semplice pianerottolo, e di bussare alla porta, con discrezione. Il resto si vedrà. Perché i cambiamenti reali, solidi, efficaci, partono sempre dal basso.
(©L'Osservatore Romano – 20 settembre 2013)