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Victor Hugo e i miserabili

Creato il 09 aprile 2011 da Giuseppe7405

La grandezza della democrazia consiste nel non negare nulla e nel non rinnegare nulla di quanto riguarda l’umanità: vicino o per lo meno a fianco del diritto dell’Uomo, vi è il diritto dell’Anima. Schiacciare i fantasmi e venerare l’infinto: tale è la legge: non limitiamoci a prosternarci sotto l’albero della Creazione e a contemplare i suoi rami immensi pieni di stelle. Abbiamo un dovere: lavorare attorno all’anima umana, difendere il mistero contro il miracolo, adorare l’incomprensibile e ricacciare l’assurdo, in materia di inesplicabile non ammettere che il necessario, risanare la credenza, togliere dalla religione le superstizioni; liberare Dio dai bruchi.
(Tratto da: I miserabili, libro sesto, cap. V, edizione Mondadori 2009)
Victor Hugo (1802-1885) non è stato un filosofo. È stato un grande narratore, ma anche un intellettuale alla vecchia maniera, che ha unito l’impegno sociale e politico alla vita di scrittore. E ha scritto opere, come I miserabili in primis ma anche altri testi, per portare avanti le sue idee di “progresso”.
Il XIX secolo, dalla seconda metà in poi, è stato il secolo della piena affermazione dell’industria, dello sviluppo scientifico e di una fiducia cieca nel progresso tecnologico; è stato il secolo della borghesia, ma anche del proletariato. Nei suoi anni le richieste di miglioramento delle condizioni di vita delle classi più povere si sono scontrate con il desiderio di ricchezza del capitalismo. È stato il secolo degli scrittori “impegnati”, ma anche di coloro che propugnavano un’arte che vivesse per se stessa, forse perché coscienti dell’inamovibilità di un assetto socio-politico disperatamente borghese. Ed è stato il secolo che ha “donato” al ‘900 l’imperialismo e il militarismo.
Hugo scrive I miserabili per parlare degli infelici, tartassati dal destino e dalla società, una società che non concede loro mai la possibilità di riscatto. E le parole che ho citato rivelano un pensiero che cerca di porsi come moderno, innovativo, senza cadere nel materialismo, senza affidarsi a un’idea di progresso sterile e irrealizzabile.
Hugo vedeva l’alleanza tra clero e Stato come fondamento dell’emarginazione dei poveri; per questo mette sotto accusa una religiosità ammantata di formalismo, di ritualità sterili, in favore di una visione di Dio evangelica. Perciò sostiene che in democrazia, oltre a un diritto dell’uomo, esiste anche un diritto dell’anima. Che strana affermazione per noi disincantati abituati alla democrazia post 1945! Forse Hugo pensava che pure un sistema democratico può diventare feroce se si basa solo sullo sviluppo materiale della popolazione e non sulla sua evoluzione, per così dire, culturale e sociale. Egli temeva che l’attacco, legittimo, a una religione alleata del potere sfociasse nella volontà di distruggere il complesso “spirituale” dell’uomo, in favore di un materialismo brutale e di un edonismo ignorante. Come scrive lui stesso qualche pagina più avanti: “… godere, quale meta sconsolante e quale meschina ambizione! Anche il bruto gode: penare, ecco il vero trionfo dell’anima!”.
Non sono parole vane; sono le parole di un uomo che scrive tra il 1845 e il 1862 (tanto durò la composizione de I miserabili) e che riesce a dialogare anche con noi, che non abbiamo ancora ben capito quale democrazia stiamo vivendo. Leggere oggi I miserabili non è, purtroppo, un esercizio letterario, bensì un modo per ricordarsi che quel romanzo è assai attuale. Ecco, volevo solo omaggiare questo grande scrittore.

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